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Uber, Travis Kalanick si dimette: tutti i motivi di un’uscita annunciata

Il Ceo se ne è andato su pressione di 4 investitori che insieme detengono un quarto delle partecipazioni. Sotto accusa l’ambiente di lavoro, dove sono emersi recenti casi di maltrattamenti, e il comportamento aggressivo del fondatore. Ma anche le perdite finanziarie. Il board: «Nuovo capitolo nella storia della società»

Pubblicato il 21 Giu 2017

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Travis Kalanick si è dimesso martedì 21 giugno da amministratore delegato di Uber. Il co-fondatore della società californiana che ha lanciato un’app per chiamare una vettura con conducente da smartphone aveva annunciato il 13 giugno che si sarebbe preso un periodo di aspettativa dopo gli ultimi sei mesi caratterizzati da problemi e scandali. Secondo il New York Times, che ha riportato per primo la notizia, sarebbe stato convinto a lasciare dalle crescenti pressioni di cinque investitori di Uber – Benchmark, First Round Capital, Lowercase Capital, Menlo Ventures e Fidelity Investments – che detengono oltre un quarto delle partecipazioni della società e che complessivamente hanno diritto di voto pari al 40%. Gli investitori hanno chiesto le immediate dimissioni di Kalanick con una lettera consegnatagli ieri.

LA STARTUP PIÙ VALUTATA AL MONDOUber è da tempo la startup più valutata al mondo: attualmente il suo valore è stato stimato in 68 miliardi di dollari.

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Cofondata nel 2009 da Travis Kalanick e Garrett Camp, imprenditori seriali, Uber ha lanciato a San Francisco un’app per smartphone per chiamare un taxi privato semplicemente premendo un tasto del cellulare. La società ha avuto una rapida espansione internazionale: oggi è presente in alcune centinaia di città in tutto il mondo. Con gli anni sono nati imitatori e concorrenti, tra cui Lyft e Sidecar, ma è stata fortemente osteggiata da tassisti ed enti regolatori in varie parti del pianeta, Italia compresa.  Tra i suoi investitori c’è Google.

L’ADDIO – In una nota pubblicata dal Nyt Kalanick ha scritto: “Amo Uber più di qualsiasi cosa al mondo e in questo difficile momento della mia vita private ho accettato la richiesta degli investitori di farmi da parte in modo che Uber possa tornare a costruire invece di essere distratta da un’altra battaglia”.

UNA COMPAGNIA IN PERDITA – Kalanick ha preso l’aspettativa dopo l’improvvisa morte della madre, lasciando 14 top manager alla guida dell’azienda senza nominare un sostituto. Tuttavia, secondo il Financial Times, questa soluzione non è stata ritenuta soddisfacente dagli investitori, che “tutti insieme hanno versato ad oggi oltre 10 miliardi di dollari in una società che sta registrando perdite”. La raccolta fondi di Uber è stata la più elevata mai realizzata da qualsiasi altra società privata nella storia della Silicon Valley. Il board ha commentato in un comunicato: “Travis ha sempre messo Uber prima di tutto, La sua decisione di dimettersi è coraggiosa ed è un segno di devozione e amore per Uber. Con la sua uscita, si prende il tempo di affrontare la sua tragedia personale e allo stesso tempo dà modo all’azienda di abbracciare pienamente un nuovo capitolo della storia di Uber”. 

CLIMA DI LAVORO “TOSSICO” – La leadership e la capacità manageriale di Kalanick, 40 anni, sono state messe in discussione negli ultimi mesi dopo accuse di molestie sessuali e altri problemi sorti in ambito aziendale. Il 19 febbraio 2017, in un post su un blog, una ex dipendente di Uber, Susan Fowler, ha accusato un manager dell’azienda di molestie sessuali, accusa ignorata dal reparto HR. Ne è scaturita un’indagine della magistratura, condotta dall’ex procuratore generale statunitense Eric Holder, che ha portato a 20 licenziamenti dopo che la società ha ricevuto oltre 215 lamentele relative all’ambiente di lavoro.

Ecco i 215 “complaints” rivolti a Uber, divisi per categorie

 Discriminazione: 54
Molestie sessuali: 47
Comportamento non professionale: 45
Atti di bullismo: 33
Molestie di vario tipo: 19
Ritorsioni: 13
Sicurezza fisica: 3
Interruzione errata del rapporto di lavoro: 1

CRITICITÀ – Poco tempo dopo le accuse rivolte da Susan Fowler a Uber, è venuto fuori un video in cui lo stesso Travis Kalanick litigava in maniera piuttosto violenta con un autista di Uber reo di aver contestato la continua politica dei prezzi a ribasso della società. Poi l’accusa di furto di dati ai danni di Google, secondo cui un ex capo dell’unità che si occupava del progetto della self-driving car avrebbe sottratto migliaia di file, fondando una startup acquisita poco dopo da Uber. Contemporaneamente la scoperta che Uber aveva inserito nella sua app il programma Greyball, volto fra l’altro a ingannare i regolatori locali. Più di recente la sentenza che permette agli autisti di organizzarsi sindacalmente, per trattare con Uber stessa le tariffe e i compensi, e le dimissioni di uno dei top manager per incompatibilità con lo stile di leadership. Per ultima la vicenda con i tassisti italiani.

UN LEADER TROPPO AGGRESSIVO – Ne è emerso il quadro di una cultura aziendale disfunzionale e priva di adeguata lungimiranza, alimentata dai comportamenti aggressivi e tendenti a infrangere le regole adottati da Travis Kalanick.

Già a marzo scorso Umberto Bertelé, autore del libro Strategia (Egea), in un articolo su EconomyUp, spiegava: “È opinione sempre più diffusa che ci sia un problema di gestione della leadership da parte del Ceo e vera “anima della società” Travis Kalanick, ed egli stesso lo ha riconosciuto a fronte delle critiche crescenti provenienti dall’interno e dall’esterno”.

Uber è cresciuta trasgredendo le regole ma adesso avrebbe bisogno di un leader

Peraltro è stato proprio il carattere tenace e pronto a trasgredire le regole di Kalanick a far decollare una startup che certamente resterà nella storia dell’innovazione. L’imprenditore ha saputo superare i precedenti fallimenti e portare avanti la sua idea con una determinazione fuori dall’ordinario.

Uber, un successo nato da un flop

È tuttavia parere di molti che, se Kalanick è risultato adatto alla fase di startup della società, lo è molto meno in questo periodo di ulteriore crescita ed espansione. Dall’intera vicenda, rileva infine il Financial Times, si può trarre un insegnamento significativo: il ruolo cruciale degli investitori in una società, ruolo che in determinati momenti e in determinate circostanze può anche prevalere su quello di chi quella società l’ha fondata e diretta.

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Luciana Maci
Luciana Maci

Giornalista professionista dal 1999, scrivo di innovazione, economia digitale, digital transformation e di come sta cambiando il mondo con le nuove tecnologie. Sono dal 2013 in Digital360 Group, prima in CorCom, poi in EconomyUp. In passato ho partecipato al primo esperimento di giornalismo collaborativo online in Italia (Misna).

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