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Open Innovation 2.0, ecco come sta cambiando

L’innovazione aperta è entrata nella maturità ma deve ancora conquistare il giusto ruolo in azienda. Mentre assume dimensioni più sociali. Ecco lo stato dall’arte come è emerso alla World Open Innovation Conference in Silicon Valley. Lo raccontano a EconomyUp i consulenti Marcello Coppa e Andrea Landini, che c’erano

Pubblicato il 01 Dic 2015

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Dal 18 al 20 novembre scorso a Santa Clara, nel cuore della Silicon Valley, si è svolta la seconda edizione della World Open Innovation Conference. Maestro della cerimonia Henry Chesbrough, professore di Berkeley e padre dell’open innovation.

Pre-conference: visita a Google(x).
La conferenza si è aperta con una visita fuori programma al campus di Google dove Mahesh Krishnaswamy, Head of Manufacturing del progetto Loon, ha introdotto la filosofia di Google(x). La divisione di innovazione disruptive di Google, che comprende progetti come la Google self-driving Car, si basa sul concetto di “moonshot thinking”: affrontare delle sfide apparentemente impossibili, ricercando soluzioni radicali attraverso un breakthrough tecnologico.

Il progetto Loon si pone l’obiettivo di portare Internet ai due terzi della popolazione mondiale che non sono connessi, attraverso palloni aerostatici.

► I trend dell’Open Innovation nella ricerca e nella pratica.
Chesbrough ha aperto i lavori della conferenza dichiarando che la pratica è ormai entrata in una fase di maturità, per cui è necessario portare l’attenzione verso un’adozione più consapevole: un approccio critico volto alla misurazione dell’effettivo contributo dell’open innovation e alla sua diffusione più ampia in azienda. Studiosi e aziende non devono quindi ridurre l’open innovation ad una serie di pratiche, iniziative e strumenti, bensì concentrarsi su come creare valore per gli stakeholder interni ed esterni all’azienda.

Istituzionalizzare la funzione Open Innovation.
Uno dei punti chiave è stato come far crescere il ruolo della funzione Open Innovation in azienda. Nonostante sappiamo benissimo che il coinvolgimento ed il commitment del top management (la C-suite) è fondamentale (e uno studio recente di Berkeley e Purdue University dimostra che il supporto verso l’open innovation sta crescendo), ancora troppo spesso questa nasce “nel garage” e senza una chiara visione guida. La questione riguarda quindi come istituzionalizzarla e farla scalare. In tal senso è stata sottolineata l’importanza di rendere visibile e tangibile ciò che è stato fatto grazie all’open innovation. Alcuni esempi sono i corporate museum, anche temporanei, e le campagne di comunicazione interna dedicate, nelle quali dare visibilità alle funzioni o business unit che hanno partecipato ai progetti di open innovation, utilizzandole come testimonial.

Henry Chesbrough, padre della open innovation (@chiaraedm)

È inoltre fondamentale che venga percepito il valore dell’open innovation lungo tutto il ciclo di vita di un progetto, dall’ideazione alla messa a terra. Il consiglio per chi sta tirando le somme sui primi progetti è quindi quello di proseguire il lavoro in profondità con le funzioni o business unit con cui si è avviato il lavoro, piuttosto che spaziare in maniera superficiale cercando di coinvolgere più funzioni possibile.

Infine, si è dimostrato come la diffusione dell’open innovation in azienda spesso si basa sulla creazione di una rete di ambassador interni che fanno da connettori tra i progetti, le soluzioni presenti esternamente e la funzione stessa. Possono quindi essere creati dei programmi per reclutarli, formarli e professionalizzarli.

Approccio maturo all’Open Innovation.
È importante prendere atto dei fallimenti dell’open innovation, da quelli clamorosi come il caso Quirky fino agli insuccessi che possono capitare in azienda, ed imparare da essi. Inoltre, una ricerca molto interessante presentata alla conferenza (Yoneyama, Yin Cheah & Edamura, 2015) ha dimostrato come esista una relazione “a U rovesciata” tra l’innovatività e l’autarchia tecnologica. Il che significa che esiste un livello ottimale di apertura e che fare open innovation non vuol dire aprirsi in maniera indiscriminata, ma gestire il portafoglio di relazioni e flussi di conoscenza tra l’interno e l’esterno dell’organizzazione. Infine, uno dei temi dominanti è stato quello delle dinamiche dell’open innovation, inteso come lo studio dell’evoluzione tra modelli aperti e chiusi.

Open Innovation multistakeholder.
I nuovi scenari dell’open innovation comprendono stakeholder multipli. Oltre alle aziende e ai loro partner, ai clienti e alle università, entrano in gioco le istituzioni e i cittadini. La Commissione Europea la chiama “Open Innovation 2.0”. Inoltre, un nuovo filone di ricerca si sta aprendo sull’Open Social Innovation, quindi la risposta a sfide sociali attraverso dinamiche open. Alcuni esempi sono i progetti di car sharing, che costituiscono un caso di nuovi business model (che peraltro ha anche un risvolto sociale) e che deriva da collaborazioni pubblico-private. Un altro esempio sono i processi partecipativi come quello che Coppa+Landini ha messo in pratica a Legnano, attraverso una co-creazione con i cittadini sul futuro della città.

La conferenza è stata un momento di aggiornamento e networking molto stimolante, soprattutto una conferma. Abbiamo sempre creduto che uno dei cardini per il successo di una strategia di open innovation (e dell’innovazione in generale) sia la dimensione organizzativa, che affrontiamo sotto il cappello più ampio dell’organising for innovation. Visione ed innovazione lean e collaborativa sono anche i punti chiave del nostro paper Branding From Below, nel quale analizziamo i principi di un nuovo modello gestionale adottato dai brand di maggior successo.

Giovedì 26 novembre in Copernico Milano Coppa+Landini ha organizzato l’ultimo Explore Talk del 2015 proprio su Open Innovation e Crowdsourcing, e questo appuntamento è stata un’occasione utile per condividere alcuni degli aspetti approfonditi in questo reportage. Consulta e scarica le slide dell’Explore Talk su “Open Innovation e Crowdsourcing”.

* Marcello Coppa e Andrea Landini. Sono co-fodatori di Coppa+Landini, società di consulenza per l’innovazione design-driven e startup studio, che sta sviluppando CrowdChicken (“Shopify + Salesforce for non profits”) e Cyrcus (design d’autore custom e on demand grazie alla digital fabrication).

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