L’exit milionaria di VisLab ha già avuto una prima, importante conseguenza: ha creato lavoro. In questi giorni sono state assunte 29 persone con contratti a tempo indeterminato dallo spinoff dell’Università di Parma che ha sviluppato un’automobile a guida automatizzata ed è stato rilevato a giugno per 30 milioni di dollari dalla statunitense Ambarella, attiva nella compressione video e del processamento di immagini. Lo conferma a EconomyUp il general manager di VisLab, Alberto Broggi, aggiungendo che a breve sono previste altre assunzioni. I 29 già inseriti ufficialmente in organico, tutti ingegneri con curriculum a cavallo tra informatica ed elettronica, gravitavano da tempo intorno alla società parmense collaborando allo sviluppo della futuristica automobile dotata di telecamere e sensori in grado di escludere la necessità di un guidatore. Fino a marzo 2015 i dipendenti di VisLab risultavano soltanto 4. Poi, mentre stavano maturando le trattative tra l’azienda americana quotata al Nasdaq e lo spin-off italiano, i dirigenti statunitensi sono venuti in Italia per intervistare gli aspiranti dipendenti e ne hanno ricavato un’impressione positiva: buone competenze tecnologiche e buon inglese. Via libera alle assunzioni. Piccola curiosità: due di loro sono stati assunti utilizzando il Jobs Act.
La creazione di nuovi posti in Italia è stata possibile anche perché il team di VisLab, al momento dell’acquisizione, non ha accettato la richiesta di trasferimento in California ma ha preferito rimanere a Parma, dove è già partita una serie di progetti, tra cui la costruzione, a partire da ottobre, di una nuova struttura di 1000 mq all’interno dell’Università dove lavoreranno i ricercatori.
Nel frattempo emergono ulteriori particolari sull’exit, che per la sua entità finanziaria potrebbe essere considerata tra le più importanti dell’anno da parte di una startup italiana. Alberto Broggi, docente di Sistemi operativi e Visione artificiale che in questi anni si è costruito una solida fama oltreoceano nel campo della tecnologia dedicata alle driverless car, frequentava da un paio d’anni la Silicon Valley per trovare investitori o acquirenti in grado di far fare a VisLab il salto da progetto di ricerca universitario a realtà imprenditoriale. Le trattative informali con il personale di Ambarella sono iniziate oltre un anno fa, quelle ufficiali sono partite a dicembre 2014. A gennaio 2015 l’ufficio legale dell’azienda statunitense, Wilson Sonsini Goodrich & Rosati (Wsgr), uno dei più importanti della Silicon Valley, ha contattato lo studio legale Legance – Avvocati Associati di Milano, che si è occupato di seguire la trattativa fino alla firma del contratto, avvenuta il 25 giugno. “Il punto di attenzione principale delle negoziazioni – spiega a EconomyUp Piero Venturini di Legance – è stato il mondo dei diritti della proprietà intellettuale, che è molto complesso. Acquistando VisLab, Ambarella ha acquistato principalmente know how e competenze, che devono essere opportunamente tutelati”.
Dopo la firma del contratto, sono ovviamente cambiati i vertici dell’azienda. Presidente del Consiglio di amministrazione di VisLab è Wang Feng-Ming Fermi, co-fondatore, presidente e Ceo di Ambarella. Nato a Taiwan nel 1963, cittadino americano, Fermi Wang ha studiato alla National Taiwan University e ha conseguito un PhD alla Columbia University negli Usa. Imprenditore seriale, esperto di tecnologia di video compressione, prima di Ambarella era stato Ceo e co-founder di Afara Websystems, società di costruzione di server.
Vicepresidente del Consiglio di amministrazione di VisLab è George Laplante, attuale Cfo (Chief Financial Officer) di Ambarella. Nato nel 1952 in Connecticut, ha ricoperto ruoli di rilievo nel management e nel settore finanziario di varie aziende.
Dai documenti societari Broggi risulta consigliere di amministrazione di VisLab, il ruolo specificato nel suo contratto è quello di general manager.
Le quote di VisLab, poi cedute ad Ambarella, erano in mano a 12 soci della srl. Broggi deteneva la quota maggioritaria, il 29%: si stima che abbia ricavato dalla transazione circa 8,7 milioni di dollari. Le altre quote, tra il 5 e l’8%, erano detenute da Phd e collaboratori a vario titolo dell’ateneo e un 5% era di proprietà dell’Università di Parma, che, per sua stessa ammissione, dopo aver “scommesso” nel 2009 soltanto 500 euro, ne ha ricavato circa 2 milioni di dollari.