“Più di una decina di anni fa Tony Blair, allora primo ministro del Regno Unito, fu invitato da Cisco a pranzo con una decina di protagonisti dell’hi-tech Usa, tra cui noi di Google. Blair ci chiese: ‘Come posso importare il modello della Silicon Valley a Londra?’. Si alzò una sola mano: era quella di Steve Jobs, il cofondatore di Apple, che peraltro non era solito alzare la mano per chiedere di intervenire: ‘C’è una cosa che abbiamo tutti in comune: il fallimento di almeno una delle nostre attività’ disse, e nel suo caso stava certamente pensando a Next. Questo per dire che negli Stati Uniti il fallimento è visto come un’esperienza, non un errore”.
A dirlo è Vinton G. Cerf, considerato uno dei padri di Internet in quanto co-inventore del protocollo TCP/IP e oggi, alle soglie dei 70 anni, vice presidente e “chief evangelist Internet” di Google, dove lavora ai progetti più innovativi, tra cui l’Intelligenza artificiale.
Parlando ai giovani startupper accorsi ad ascoltarlo venerdì scorso presso LuissEnlabs, incubatore di imprese della Luiss, Cerf ha dato essenzialmente due consigli: non temere di sbagliare e non aver paure di sperimentare. “In Google i manager hanno la libertà di sbagliare. Noi riteniamo che si debba sempre puntare a ottenere il massimo, diciamo al livello A. Poi, se questo non è fattibile, è inevitabile scendere al livello B. Era un errore aspirare ad A? No, perché comunque sono stati ottenuti risultati”.
Il Vp di Google ha tenuto a sottolineare che “nella Silicon Valley il business failure è considerata un’esperienza. Non è come nel resto del mondo, e specialmente in Europa, dove il fallimento di una startup o di un’azienda è considerato un grave errore. Per noi è un’opportunità di imparare dai propri errori”. L’importante, secondo Cerf, è scrivere nei dettagli i propri progetti, annotando “cosa è andato storto e come sono stati risolti i problemi”. E alla fine, se la startup non decolla, redigere una sorta di “rapporto post mortem”.
Un altro punto su cui si è soffermato Cerf è la necessità di sperimentare, senza mai fermarsi di fronte a pregiudizi o ostacoli. “In Google arrivano giovani manager che ci propongono: perché non facciamo questo progetto? Io rispondo: perché l’abbiamo fatto 15 anni fa e non ha funzionato. Poi però penso che, con il tempo, le cose sono cambiate, il panorama tecnologico è stato rivoluzionato, funzionalità che prima non erano nemmeno pensabili oggi sono considerate mainstream, perciò quello che non ha funzionato in passato adesso può essere fattibile. È una grande occasione per me perché mi aiuta ad essere sempre aperto all’innovazione ed è importante per tutti, perché tutti devono capire che la tecnologia è in costante evoluzione e offre continuamente nuove possibilità”.