Gli scorsi 16 e 17 febbraio si sono svolti i primi due appuntamenti di StartUp Plus, l’evento digitale di UniCredit dedicato alle startup, nato quest’anno come ‘spalla’ alla call UniCredit Start Lab (attualmente ancora aperta).
La risposta dell’ecosistema startup a questa nuova iniziativa è stata davvero importante: circa 1300 spettatori si sono collegati ai due eventi, entrambi orientati a fare cultura dell’innovazione e offrire preziosi consigli a chi si accinge a entrare in questo mondo come imprenditore innovativo.
Investitori, imprenditori ed esponenti del mondo dell’innovazione hanno affrontato argomenti importanti per ogni startupper, ad esempio come trovare finanziamenti o preparare una presentazione o un business plan.
Molto dinamica e ricca di spunti e interventi la chat dell’evento, anche se purtroppo, proprio a causa della grande partecipazione, non è stato possibile rispondere a tutto.
Ma niente paura: per gli interrogativi degli startupper rimasti in sospeso abbiamo preparato in collaborazione con UniCredit Start Lab una sorta di AMA Session in differita, proponendo le domande a tre degli interlocutori presenti anche agli appuntamenti StartUp Plus: Nicola Redi, Managing Partner Venture Factory; Marco Nannini, Ceo Impact Hub; Antonio Perdichizzi, Ceo e founder Tree.
Qui di seguito la prima parte dedicata al fundraising.
Non perdere la seconda parte in uscita nei prossimi giorni , su AMA Session su Impact financing e strategie di pitching
Buona lettura!
Sulla fase di fundraising della startup – Risponde Nicola Redi, Managing Partner Venture Factory
Quando è il momento giusto di raccogliere fondi? Sarebbe preferibile sviluppare prima il Minimum Viable Product (MVP) con fondi propri?
Esistono alcuni investitori che operano anche nella fase precedente alla disponibilità di un MVP: sono fondi di trasferimento tecnologico oppure alcuni business angels. In generale la presenza di un MVP è un elemento importante per iniziare un percorso strutturato di fund raising. L’MVP non solo rappresenta il fatto che si è usciti dalla dimensione di laboratorio (soprattutto per progetti deep-tech), ma è anche un elemento importante di comunicazione. Per quanto alcuni investitori possano essere competenti anche sotto il profilo tecnologico, l’MVP permette di comprendere meglio tutti gli aspetti di un prodotto e immaginare l’interazione e l’esperienza che i potenziali clienti potranno avere; è quindi un modo per comprendere meglio come il bisogno di mercato che si è identificato potrà essere soddisfatto e valutare il potenziale di sviluppo commerciale della startup. Un MVP è anche lo strumento che aiuta a guidare ulteriori ragionamenti sul modello di business e permette di definire meglio il percorso di sviluppo, investimento e crescita della società. Sviluppare un MVP può rappresentare un investimento importante per i founder, ma esistono vari strumenti di finanziamento a fondo perduto o prestiti contro-garantiti di lungo periodo, regionali, nazionali ed europei, che è possibile utilizzare per questa fase.
Come si fa, quando si è in fase di seed, a risultare attrattivi ed attirare talenti? Come si può competere con le offerte delle grandi compagnie?
La concorrenza delle grandi imprese nel mondo del lavoro è rilevante. Un alto funzionario del governo di un grande Paese europeo mi segnalò come uno dei limiti allo sviluppo delle startup nella sua nazione fosse proprio rappresentato dal fatto che i laureati in materie scientifiche e tecnologiche trovavano subito offerte di lavoro molto attrattive da parte delle corporate nazionali e internazionali. I founder devono però pensare che non è solo il piano retributivo quello che conta. Una startup gestita con visione illuminata può offrire un percorso di crescita interna molto veloce (se i founder sanno delegare ed essere dei veri mentor); un ambiente intellettualmente molto stimolante (se si tratta di tecnologie di frontiera); un luogo di lavoro umanamente coinvolgente, dove il senso di appartenenza e di squadra sono unici; infine, un sistema di incentivi legato alla crescita della società (come un piano di stock options). La premessa fondamentale è che i founder devono avere sin da subito chiaro che il miglior investimento che possono fare è quello di circondarsi di persone migliori di loro: solo così potranno crescere essi stessi.
Esiste poi il tema di attrarre persone di grande esperienza, quali manager del settore con 15/20 anni di lavoro alle spalle. In fase seed si possono coinvolgere in un advisory board (nel mondo anglosassone è comune che non siano remunerati ma accedano ad alcune stock option): starà poi al founder saperli coinvolgere al punto da portarli all’interno della squadra. Non è inusuale che un manager con molti anni di grande azienda alle spalle decida di dedicarsi a una startup per il piacere di vedere crescere giorno per giorno qualcosa di proprio. Per quanto queste figure possano accettare un pacchetto retributivo inferiore a quello della grande impresa in cui lavorano, dovranno essere incentivate con una partecipazione importante al piano di stock option.
La validazione di esperti è sufficiente nel caso di prodotti da industrializzare con notevoli risorse?
Ogni decisione circa l’investimento in una nuova fase di sviluppo viene presa al meglio delle conoscenze che si hanno al momento della decisione. Per loro natura sono incomplete. Quando, a valle di un prototipo, si deve decidere se passare o meno alla fase di industrializzazione, si cerca di avere la visione più ampia possibile. Si valutano tanto i rischi connessi all’industrializzazione e al lancio sul mercato, quanto il potenziale ritorno commerciale. Certamente la validazione di un esperto è fondamentale, ma non deve essere limitata solo al corretto funzionamento del prodotto. Si devono, ad esempio, anche valutare la competenza e affidabilità delle risorse interne e dei partner che si occuperanno degli sviluppi successivi. Infatti, analogamente a quanto avviene per il team imprenditoriale, che, se di qualità, è la migliore garanzia di avere dei risultati, anche la decisione di passare a una costosa fase di industrializzazione richiede anzitutto di valutare la qualità degli attori coinvolti nella sua esecuzione.
Gli investimenti 3F+1 (amici parenti) come vengono documentati e regolamentati? E quelli per gli investitori successivi?
Raramente gli investimenti 3F+1 sono documentati o regolamentati. La suddivisione delle quote è l’unico parametro che viene considerato per stabilire gli equilibri anche di governance. La presenza di parasociali è una vera rarità e spesso gli statuti sono privi di diritti particolari. Man mano che la startup procede, l’aumento delle somme investite è normalmente proporzionale alla professionalità dell’investitore e all’uso di pattuizioni tipiche degli investimenti di venture capital. Al giorno d’oggi, le regole di ingaggio previste contrattualmente, sono sostanzialmente standardizzate sia per i fondi che per gli investitori informali. È sempre opportuno pensare, ad ogni round di investimento, che questo non sarà l’ultimo: specialmente nelle fasi seed ed early stage in generale. Normalmente le condizioni di investimento e le clausole sono riviste ad ogni round con nuovi investitori; si deve anche tenere conto che eventuali pattuizioni fuori mercato possono rappresentare un elemento ostativo per la raccolta di successivi investimenti.
Quali sono gli strumenti per regolare i rapporti con gli investitori informali e per tutelarsi nel caso di cessione di quote?
Nel caso dei business angels, è ormai normale trovare strumenti di accordo affini a quelli dei fondi di investimento. Per quanto questi non siano soggetti regolamentati e abbiano maggiore libertà di azione con i propri capitali, rimangono investitori consapevoli che nuovi investitori finanziari dovranno entrare nella società. È anzitutto nel loro interesse allinearsi al processo di disinvestimento di questi ultimi. Anche nel caso dell’equity crowdfunding esiste una sostanziale standardizzazione dei meccanismi di investimento e disinvestimento per allinearli a quelli degli investitori istituzionali che affiancano la campagna. Per quanto concerne la cessione di quote, dobbiamo essere molto pragmatici: ogni investitore finanziario (formale o informale) ha come obiettivo la realizzazione dell’investimento tramite la cessione delle proprie quote. Se l’obiettivo di un imprenditore è quello di creare, legittimamente, una realtà che lo accompagni per tutta la sua vita professionale, dovrà dimostrare ogni volta, anche al momento del disinvestimento, di essere lui il miglior amministratore e manager della società, per qualsiasi azionista che vi entri successivamente. Si deve però essere pronti ad immaginare, in caso di acquisizione da parte di un grande player industriale, che la startup diventerà parte integrante di un’organizzazione più grande e così sarà dei suoi fondatori. Nel caso in cui non si sia disposti ad accettare la possibilità di una cessione di quote, difficilmente si potrà avere la possibilità di raccogliere capitali da parte di investitori finanziari, formali ed informali.
Ricordiamo che è possibile candidarsi all’edizione 2021 di UniCredit Start Lab fino al 20 aprile 2021. Start Lab è la piattaforma di business di UniCredit dedicata all’innovazione. L’iniziativa è diretta a startup e PMI innovative costituite da non più di 5 anni e si articola in numerose azioni per dar forza alle nuove realtà imprenditoriali ad alto contenuto tecnologico e innovativo.