L’Antitrust torna a pronunciarsi ufficialmente a favore di Uber, società nata in California e operativa in varie parti del mondo il cui servizio principale è un’applicazione gratuita per chiamare da smartphone auto a noleggio. In risposta a un quesito posto dal ministero dell’Interno su richiesta del Consiglio di Stato, lunedì scorso l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm), presieduta da Giovanni Pitruzzella, ha sostenuto che occorre disciplinare al più presto l’attività di trasporto urbano svolta da autisti non professionisti attraverso le piattaforme digitali per smartphone e tablet, ovvero Uber e le app che consentono di accedere a questo servizio in aggiunta o in alternativa ai taxi e alle auto Ncc (Noleggio con conducente). “Il legislatore – ha sollecitato l’Antitrust – intervenga con la massima sollecitudine al fine di regolamentare, nel modo meno invasivo, queste nuove forme di trasporto non di linea, in modo da consentire un ampliamento delle modalità di offerta del servizio a vantaggio del consumatore”.
Quanto ai servizi UberBlack e UberVan, che si differenziano tra loro per la diversa tipologia di veicoli utilizzati, (le berline fino a quattro posti il primo e i mini-bus o monovolume da cinque posti in su l’altro), l’Autorità ribadisce “la legittimità, in assenza di alcuna disciplina normativa, della piattaforma, trattandosi di servizi di trasporto privato non di linea, come riconosciuto anche dal Consiglio di Stato”. La stessa Autorità giudica “di fatto inapplicabili” gli obblighi stabiliti dalla legge vigente (n.21/92), ritenendo che “una piattaforma digitale che mette in collegamento tramite smartphone la domanda e l’offerta di servizi prestati da operatori Ncc non possa infatti per definizione rispettare una norma che impone agli autisti l’acquisizione del servizio dalla rimessa e il ritorno in rimessa a fine viaggio”. È una vexata questio: per legge chi offre un servizio di noleggio con conducente deve sempre partire da una rimessa quando riceve la chiamata. Deve essere così anche per le auto di Uber? Alla domanda non è stata ancora data una risposta legislativa definitiva.
È già la terza volta che l’Authority per la Concorrenza torna a chiedere a governo e parlamento di introdurre norme ad hoc mirate sostanzialmente a favorire la piena introduzione del servizio di Uber in Italia. Ma nel nostro Paese (così come in altri dove la società guidata da Travis Kalanick sta provando ad affermarsi) la questione non è affatto risolta. Oltre alla stessa Uber, gli attori in campo sono almeno quattro. Ci sono i tassisti, che hanno più volte inscenato proteste, in qualche caso anche violente, contro il tanto temuto concorrente e i suoi dirigenti locali, ma nel frattempo si sono attrezzati tecnologicamente sviluppando una propria app per chiamare le auto bianche da smartphone. Ci sono i magistrati, che hanno provveduto a bocciare prima UberPop (applicazione per scambiarsi passaggi tra automobilisti), poi il “classico” UberBlack: in particolare in questa azione si è distinto il tribunale di Milano (con due magistrati diversi pronunciatisi in due diversi casi), cosa che a qualcuno potrà essere sembrata un paradosso, essendo il capoluogo lombardo considerato la capitale della sharing economy e soprattutto del car sharing, molto diffuso tra i cittadini. Del resto ai magistrati spetta il compito di far rispettare le leggi. E le leggi attuali, vecchie di anni, non tengono conto dell’innovazione nel mondo dei trasporti. Un terzo attore sono le Autorità (quella per la Concorrenza e quella per i Trasporti) che hanno più volte espresso il loro sostanziale via libera all’attività di Uber, chiedendo al governo l’introduzione di norme in materia. E c’è appunto il governo che fino a questo momento non ha ancora avviato azioni concrete per sciogliere il nodo delle regole. Un anno fa si è registrata un’iniziale manifestazione di entusiasmo nei confronti di Uber da parte di Matteo Renzi, che aveva sperimentato il servizio quando era a New York. Dopodiché il presidente del Consiglio non è più tornato sull’argomento.
Ma vediamo le principali tappe della Uberstory in Italia a partire dalla primavera dello scorso anno.
►Maggio 2014, è rivolta – I tassisti milanesi impediscono lo svolgimento di un dibattito al NextFest di Wired, costringendo l’allora country manager della startup americana, Benedetta Arese Lucini, ad allontanarsi sotto scorta. Una scena che si ripeterà più volte nei mesi a venire. Subito dopo gli autisti proclamano uno sciopero bianco. Dopo l’invito via Twitter del commissario europeo, Neelie Kroes, a non cadere nella trappola dei tassisti e a non “far sparire la tecnologia”, l’allora ministro dei Trasporti Maurizio Lupi afferma: “Davanti a qualunque applicazione o innovazione che eroghi servizio pubblico non di linea non autorizzato siamo in presenza di esercizio abusivo della professione”. Una chiara sentenza anti-Uber.
►Luglio 2014, primo ok dell’Antitrust – Dopo le aperture del Segretario generale della Presidenza del Consiglio Mauro Bonaretti (“Se Uber funziona, lasciamola andare. Non creiamo ostacoli all’innovazione”), arriva il pronunciamento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm). In una lunga Segnalazione ai presidenti del Senato, della Camera, del Consiglio dei ministri e al Ministro per lo Sviluppo Economico si ricorda, in conclusione di una lunga disamina dei freni alla concorrenza in diversi mercati: “L’Autorità ha auspicato l’abolizione degli elementi di discriminazione competitiva tra taxi e Ncc in una prospettiva di piena sostituibilità dei due servizi”. E si aggiunge, pur senza citare mai Uber: “L’inadeguatezza del complesso delle norme vigenti emerge anche in considerazione delle nuove possibilità offerte dall’innovazione tecnologica che ha determinato l’affermazione di diverse piattaforme on line che agevolano la comunicazione fra offerta e domanda di mobilità, consentendo un miglioramento delle modalità di offerta del servizio di trasporto di passeggeri non di linea, in termini sia di qualità sia di prezzi”. Dice anche cosa fare, l’Agcm: “L’abrogazione dell’obbligo per il conducente di disporre di una sede, di una rimessa, di un pontile d’attracco necessariamente nel medesimo Comune che ha rilasciato l’autorizzazione”.
►Settembre 2014, arriva l’app dei taxi – I tassisti si attrezzano nella lotta contro Uber e lanciano IT Taxi, applicazione gratuita che mette in contatto tassisti e clienti in tutta Italia per prenotare, pagare e giudicare il taxi. Un’innovazione tecnologica partorita dal mondo delle vetture bianche che appare come la risposta all’innovazione disruptive di Uber. Voluta dall’Uri (Unione Italiana Radiotaxi) presieduta da Loreno Bittarelli, è anche un’indiretta conferma che la concorrenza può fare bene perché è in grado di stimolare nuove iniziative imprenditoriali. Successivamente, a maggio 2015, i tassisti organizzano TaxiHack, il primo hackathon dedicato all’innovazione del servizio taxi, dedicato proprio a migliorare la loro applicazione.
►Maggio 2015, valutazione record di 50 miliardi di dollari – In questa intervista Umberto Bertelè, ordinario di Strategia e Sistemi di pianificazione al Politecnico di Milano e chairman degli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Polimi, spiega come si è arrivati a questa valutazione per la società californiana e analizza le eventuali criticità che potrebbe comportare nel medio-lungo periodo.
►Maggio 2015, stop a UberPop – Il Tribunale di Milano dispone il blocco di UberPop su tutto il territorio nazionale con inibizione dalla prestazione del servizio. Il servizio di ride sharing dell’app Uber, che consente a chiunque di utilizzare la propria auto per dare passaggi in città, diventa off limit in Italia. I giudici hanno accolto il ricorso presentato dalle associazioni di categoria dei tassisti per “concorrenza sleale“.
►28 maggio 2015, nuovo pronunciamento dell’Antitrust – Arriva una precisazione da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato sul blocco di UberPop. “Internet – si legge in un documento – rappresenta un grande fattore di sviluppo economico che non può essere fermato, ma occorrono regole per definire soluzioni equilibrate fra i vari interessi in gioco”.
►4 giugno 2015, ok a Uber dall’Autorità dei Trasporti – L’Authority invia una segnalazione a governo e parlamento con la quale vengono proposte una serie di modifiche alla norma sui trasporti pubblici non di linea, la 21 del 1992, andando incontro a tutti gli attori coinvolti. A partire dalla cosiddetta sharing economy, che sta imponendo in tutto il mondo una presa di posizione del legislatore. L’ Autorità, si legge in una nota, è partita da un’approfondita “indagine sul recente diffuso utilizzo di tecnologie informatiche”. Ha preso atto dell’offerta di una “pluralità di tipologie di servizi di autotrasporto di persone, oggi resa possibile dalla diffusione di tecnologie mobili competitive e dal cambiamento delle abitudini di consumo degli utenti da esse prodotto”. Ha poi osservato che “la domanda di mobilità, specie per le fasce di reddito basse e per i giovani, si orienta verso sistemi basati sulla flessibilità e sulla condivisione di risorse, tipici della sharing economy”. Ha quindi proposto di “far emergere questo mercato, affinché domanda e offerta di servizi possano incontrarsi in modo trasparente e nel rispetto delle regole applicabili all’attività economica d’impresa”. In sostanza l’ente regolatorio propone l’inquadramento di figure che non superino le 15 ore di guida settimanali, che stipulino un’assicurazione aggiuntiva e siano, attraverso la società che li fa lavorare, riconosciuti all’interno di un registro apposito delle Regioni. Lo scenario è: se il parlamento dovesse accogliere una modifica di questo tipo, UberPop potrebbe proseguire l’attività nel recinto tracciato.
►Giugno 2015, il tribunale di Milano conferma la sospensione di UberPop – Il giudice rigetta la richiesta di sospensiva dell’ordinanza dello scorso 26 maggio presentata da Uber. UberPop diventa definitivamente illegale.
►Luglio 2015, il tribunale di Milano boccia anche UberBlack – Arriva una bocciatura ufficiale anche per il servizio “classico” di Uber, quello che consente di chiamare da smartphone autisti dotati di licenza Ncc (noleggio con conducente). Il giudice della prima sezione del Tribunale di Milano, Anna Cattaneo, ribalta la sentenza di un giudice di pace (che scagionava un autista Uber), spiegando perché l’app non può essere considerata assimilabile a un servizio di Ncc. La vicenda risale a giugno 2013, quando un autista Ncc viene fermato dai vigili a Milano mentre carica un cliente. I vigili lo multano per violazione dell’articolo 85 del codice stradale con fermo amministrativo del veicolo, in quanto “acquisiva un servizio al di fuori della rimessa”. In seguito l’Ncc fa ricorso al Giudice di pace, che il successivo 7 novembre annulla il verbale di contestazione dei vigili. Contro l’annullamento interviene il Comune di Milano. Il 6 luglio il Tribunale, in appello, conferma integralmente l’effetto del verbale dei vigili (incluso lo stop al veicolo), condannando l’autista al rimborso delle spese. Il giudice Anna Cattaneo così motiva la sua sentenza: “Non può certo ritenersi (…) che l’iPhone sia l’autorimessa e Uber la segretaria che passa le chiamate (…)”. Per il magistrato è indubbio che l’autista “non fosse in attesa presso la propria rimessa (…) bensì fosse fermo in una via del centro (…) ove è esercitato solo il servizio taxi”. Perché è in garage che l’Ncc dovrebbe partire e tornare prima e dopo ogni corsa. Perciò, motiva il magistrato, “il sistema di Ncc (…) non può effettuarsi con le modalità dell’applicazione introdotta da Uber che lo assimila al servizio di radio-taxi (…)”.
Agosto 2015, cambio al vertice – Benedetta Arese Lucini lascia la guida di Uber Italia, arriva Carlo Tursi, già general manager di Uber Roma.
Il resto è storia di oggi.