“Un’applicazione tecnologica non è illegale di per sé ed è molto difficile intravedere elementi di illegalità nell’utilizzo di UberPop: i politici che la definiscono ‘fuorilegge’ hanno la coda di paglia, perché da anni non riescono ad emanare un decreto sulle regole del Noleggio con conducente (Ncc)”: a dirlo è Guido Scorza, avvocato, dottore di ricerca in Informatica giuridica e Diritto delle nuove tecnologie e docente presso il Master di diritto delle nuove tecnologie all’Università di Bologna. L’argomento, sempre di stringente attualità, riguarda Uber, società di San Francisco che ha creato un’app per noleggiare macchine con autisti da smartphone. La scorsa settimana i tassisti di tutta Europa sono scesi in piazza per protestare contro il servizio di Uber chiamato Uberpop (all’estero UberX), che consente a privati cittadini di darsi passaggi dopo essersi contattati via smartphone. E tuttora le tensioni non sono sopite.
Ma UberPop è legale o illegale?
Non ho dubbi nel ritenerlo legale in quanto servizio tecnologico che funge da intermediario della comunicazione. Uber è fornitore di un’app e si colloca quindi in posizione analoga a quella di qualsiasi altro intermediario della comunicazione, per esempio un social network. Diremo che Twitter o Facebook sono illegali? Questo per quanto riguarda l’aspetto tecnologico. Si può poi discettare sulla legalità o meno del risultato finale a cui porta l’utilizzo di questa applicazione, ovvero sull’attività che altri portano in essere attraverso quell’app. Ma qui si abbandona la dimensione tecnologica e si scende nel campo dell’attività commerciale rivolta al territorio. Vero è che in termini politici e mediatici la riflessione su questo tema mescola le condotte di Uber con le condotte degli autisti di Uber.
Parliamo allora del campo commerciale: in questo contesto si possono configurare principi di illegalità?
Sappiamo cos’è UberPop: un’opzione di car sharing peer-to-peer per la condivisione di passaggi in auto tra privati cittadini. Il costo per chi ottiene il passaggio è 49 centesimi al minuto. Uber trattiene il 20%, prezzo calcolato in base alle indicazioni sul rimborso spese dell’Aci. Ora, si tratta di un servizio tecnologico completamente gratuito, in cui Uber funge da intermediario e trattiene una fee. È una sorta di club a cui partecipano soggetti privati. Il fatto che questo servizio sia fruibile dall’utenza, che finisce per preferirlo a quello del tassista, dal mio punto di vista significa solo che c’è concorrenza o comunque una ridefinizione del mercato. Per parlare di concorrenza sleale ho bisogno di dimostrare che l’attività è illegittima. A parte che, a quanto mi risulta, l’utilizzo di UberPop non è ancora numericamente rilevante, i suoi oppositori devono comunque individuare una ragione per la quale, in questo frangente, la condivisione della macchina diventa illegale.
I tassisti sostengono che, invece di dare passaggi occasionali, gli utenti di UberPop utilizzano l’app per svolgere un’attività “professionale” continuativa.
Personalmente identifico un unico vincolo: l’utente che dà il passaggio attraverso UberPop certamente deve fare un uso personale del proprio veicolo e non può trasformarlo in un servizio pubblico. Nell’uso personale rientra a pieno titolo il passaggio gratuito, per esempio il classico autostop. In giurisprudenza non c’è discussione sul fatto che, se un automobilista dà un passaggio a un cittadino, possa poi chiedere una condivisione dei costi. È una prassi accertata e non è certo considerata un’attività illegale.
E la fee di intermediazione che si prende Uber?
Non può essere quello il problema: Uber fornisce tecnologia e si fa pagare a fronte di quella tecnologia che sta vendendo. L’unico tema che mi lascia perplesso è la questione del pagamento a fine corsa, ovvero se il passeggero abbia l’obbligo di versare al conducente non un rimborso ma qualcosa simile a una tariffa, tanto da indurre il conducente a trasformarsi da soggetto che comunque deve percorrere un tragitto e decide di far salire a bordo un’altra persona, a uno che sta fermo per strada in attesa che qualcuno gli chieda un passaggio, ovvero ne fa un’attività di lavoro.
Quindi un’eventuale contestazione giuridica, a suo parere, starebbe nel pagamento finale.
Sì, però Uber fa riferimento, come detto, alle indicazioni sul rimborso spese dell’Aci, cioè quelle che per esempio servono al dipendente che usa la propria auto per lavoro e si fa poi rimborsare dal datore di lavoro determinate quote per benzina, usura delle gomme ecc. ecc.. Insomma: il teorema dell’utente che in pratica si mette a fare il tassista è un teorema difficile da sostenere perché le tariffe Aci sono tariffe di rimborso spese. Per dimostrare che l’utente UberPop sta diventando un tassista abusivo bisogna dimostrare che sta svolgendo l’attività per scopi di lucro. Ma se ottiene solo un rimborso, peraltro regolarmente calcolato in base alle tariffe Aci, non sta lucrando, sta solo cercando di ripagarsi le spese. Nessun tassista lavorerebbe semplicemente per ottenere il rimborso dei costi sostenuti. Il lucro c’è quando quello che chiedo è superiore al costo delle spese per una determinata tratta.
Ma se un utente, tutti i giorni, si piazza per strada e inizia a proporre passaggi con UberPop dalla mattina alla sera?
Penso al camionista che non ama viaggiare da solo e, in maniera sistematica, fa salire a bordo gli autostoppisti: non posso sostenere che è diventato un servizio di linea. Dal punto di vista giuridico il nodo è: lo fai per lucro o in una dimensione di risparmio?
Allora perché alcuni politici hanno parlato di attività fuorilegge?
Bisognerebbe vedere quanto tempo hanno speso per capire quello di cui stanno parlando. Peraltro il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi, quando ha fatto quelle affermazioni, era a ridosso della campagna elettorale. I politici che, durante le proteste di maggio dei tassisti milanesi, hanno gridato all’illegalità, hanno dato sostanzialmente una risposta politica. Diciamo che, in generale, c’è una coda di paglia della politica sulla questione delle regole. Non è stato ancora varato un decreto che si attende da anni e che dovrebbe stabilire modalità e limiti delle autorizzazioni dell’attività di Ncc. E questo ha comportato un ritardo nella modernizzazione della disciplina del settore.
Ma esistono sentenze contro Uber in Italia?
No. Anzi l’unico contenzioso è terminato con un sostanziale nulla di fatto. L’estate scorsa il Tar della Lombardia ha annullato una delibera del Comune di Milano che poneva limiti all’attività di Ncc attraverso l’app Uber.
Ora Uber propone agli italiani, come già ha fatto in Uk, UberTaxi, accordo diretto tra società e tassisti, che possono usare la sua tecnologia in cambio di una fee. Cosa ne pensa?
Tutto il bene possibile, almeno fino a quando non si porrà il problema di un’eventuale posizione dominante di Uber sul mercato. La società di San Francisco introduce un fattore competitivo fornendo tecnologia utile sia al tassista sia al cittadino. Non vedo vincoli legali se non, ripeto, nel momento in cui si dovesse paventare una posizione dominante da parte di Uber che quindi potrebbe imporre tariffe elevate. In quel caso se ne dovrà occupare l’Antitrust. Ma siamo ancora lontani, mi sembra. Certo, se i tassisti aderissero alla proposta di Uber, tutto il fermento intorno alla vicenda scenderebbe.