Non è facile condensare tre ore di lavori con circa 20 persone che si alternano al tavolo per raccontare la buona tecnologia. Anzi, la “tecnologia solidale” come dice il titolo dell’incontro promosso da Antonio Palmieri, deputato e promotore in Parlamento del Gruppo Innovazione, giunto alla sua terza edizione. Ho avuto l’opportunità di partecipare per la prima volta e ho scoperto un mondo che merita maggiore considerazione e non solo per compassione.
C’erano ben rappresentate le grandi compagnie telefoniche (Telecom e Vodafone), le nuove multinazionali digitali (Google e Facebook) e le grandi firme del software (Microsoft) ma c’erano anche, quest’anno per la prima volta, le startup. E le indicazioni emerse, le suggestioni regalate, le storie umane e imprenditoriali sono talmente numerose che ogni cronaca sarebbe riduttiva: consiglio quindi vivamente di “tornare” nella Sala Aldo Moro di Montecitorio per scoprirle nel dettaglio.
Qui ritengo utile fissare e segnalare alcuni punti attraverso i quali rileggere il dibattito e ripensare a una visione diversa della tecnologia e delle sue possibili applicazioni.
1. Un sistema che funziona bene per chi è in stato di disagio fisico o psicologico è un sistema che funziona meglio per tutti. E la tecnologia in questo senso può fare molto.
2. Chi produce soluzioni solidali è spesso mosso da fatti che toccano personalmente e danno una spinta in più e una motivazione forte. Come dice il caso del manager padre di un bimbo dislessico che ha “creato” il tablet in grado di ridurre il disagio. O lo startupper sordo, come dice lui stesso, che ha messo a punto la piattaforma per aiutare a trovare un lavoro dignitoso a chi si trova nella sua situazione
3. Le corporation sentono sempre di più il loro ruolo sociale, guardano soprattutto alla formazione ma spesso, assolti gli obblighi di legge, riservano ancora poche energie e limitate risorse finanziarie ai progetti. In Italia c’è ancora molto da fare e quindi grandi spazi di crescita per i progetti solidali
4. Le startup sono un modello di sperimentazione anche nell’innovazione sociale. Sono sempre di più e stanno dimostrando di riuscire a proporre soluzioni a problemi che finora venivano considerati senza soluzione. E non sono solo scelte di carità.
5. E qui si arriva a un punto che ritengo decisivo: pensare a chi è in situazioni disagiate non è buonismo ma una precisa scelta imprenditoriale che si preoccupa di offrire a clienti disagiati gli stessi diritti e le stesse opportunità di tutti. Come, semplicemente, fare una chiacchierata al telefono. È una svolta culturale che apre nuovi segmenti di mercato e permette di richiamare attenzione e investimenti su soggetti trascurati e ulteriormente penalizzati oltre le loro oggettiva difficoltà.
In questa fine d’anno ripensare la tecnologia in chiave sociale e responsabile è un proposito che dovrebbe riguardare tutti. Anche i device possono avere un cuore. Ma siamo noi che dobbiamo darglielo e poi farlo battere.