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Startupper, la truffa si riconosce così

Conoscere bene investitori e incubatori, sospettare sempre di clausole “strane”, diffidare delle strade troppo facili. Ecco qualche consiglio degli esperti per evitare di essere ingannati. Primo fra tutti: nessuno regala niente

Pubblicato il 13 Ago 2014

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Ci sono in giro anche i Mangiafuoco: è la provocazione lanciata da Marco Camisani Calzolari in un’intervista a Economyup. E il rischio di finire fra il Gatto e la Volpe aumenta. Certo, bisogna anche essere un po’ Pinocchio: non raccontarla giusta e non sapere vedere oltre il proprio naso.
Ma quando un mercato diventa ‘caldo’, la folla aumenta. Nell’ecosistema italiano delle startup proliferano incubatori, acceleratori, consulenti, esperti di formazione e di comunicazione: in molti ci stanno provando, con capacità o meno. Con buone o cattive intenzioni. D’altra parte gli startupper sono solitamente giovani, di solito entusiasti e agguerriti ma spesso con poche, precedenti esperienze lavorative. L’ambiente è complessivamente sano. Ma vedere tutto rose e fiori non serve a nessuno. Ed è meglio prevenire che curare. Quindi un po’ di prudenza e di attenzione non guastano, come in ogni ambito della vita economica. Ecco qualche consiglio agli startupper per evitare di cadere in errori, truffe e raggiri.

1) Informarsi online (e offline) sui potenziali investitori
Un investitore si mostra affascinato dalla vostra idea di business e si dichiara pronto a gettarsi con voi nell’impresa? Sempre meglio fare un reference check. E la Rete, in circostanze come queste, offre vaste opportunità di verifica. È consigliabile controllare su Linkedin il percorso professionale dell’aspirante investitore, esaminare il suo cv e il numero dei suoi contatti, annotare se ci sono conoscenze in comune e contattare personalmente queste conoscenze, per farsi dare una sorta di referenza della persona in questione. È bene anche scorrere i suoi profili su Twitter, Google plus e su altri social network. Può servire per farsi un’idea, anche se naturalmente tutto questo non è sufficiente per scovare eventuali millantatori. “Mai mettersi in società con persone che si non conoscono bene” avverte Alberto Onetti, Chairman di Mind the Bridge, organizzazione no profit italo-americana che sta coordinando Sep-Startup Europe Partnership, piattaforma per sostenere l’internazionalizzazione delle imprese innovative. “Si fa sempre bene a fidanzarsi, ma per sposarsi c’è tempo” afferma.

2) Diffidare di intermediari e consulenti che si propongono come supporto alle startup
“Certi consulenti magari si presentano con una buona presenza sul web, ma senza avere reale esperienza” spiega Marco Cantamessa, presidente di I3P, incubatore del Politecnico di Torino. Suggerisce perciò di chiedere sempre dei dati (per esempio quante startup hanno già seguito, quanti fondi hanno raccolto, ecc. ecc.) e parlare direttamente con loro dell’esperienza avuta. “In alcuni casi – prosegue Cantamessa – abbiamo visto individui che invitavano le startup a insediarsi ‘per finta’ in Regioni presso le quali erano disponibili fondi di incentivazione, con l’idea che ‘in fondo basta una piccola sede operativa’. A parte i potenziali illeciti che derivano da queste scelte, va ricordato che, per un buon imprenditore, l’attenzione deve essere sempre focalizzata sullo sviluppo del prodotto e del mercato. Le scelte di localizzazione vanno fatte guardando al luogo dove si potrà più facilmente sviluppare l’azienda e non solo alla occasionale disponibilità di fondi”.

3) Fare attenzione a “chi” presenta “chi”
Quando intendono investire su una startup, i grandi fondi di investimento di venture capital cercano sempre una referenza, ovvero una persona di fiducia che faccia da tramite, e funga in qualche modo da garanzia, tra loro e gli startupper. Questo perché, per il fondo, si tratta di investire cifre importanti in progetti innovativi che magari esistono ancora solo sulla carta, perciò è opportuno prendere tutte le precauzioni del caso. “Non significa però – spiega Ciro Spedaliere, investement manager di LVenture Group, holding di partecipazioni che investe in startup digitali – che se conosci qualcuno che può introdurti nel venture capital ce l’hai automaticamente fatta a ottenere capitali. Ogni anno noi riceviamo circa 500 proposte e finiamo per investire in tre o quattro. Direi di più: a volte può essere controproducente farsi presentare da qualcuno di cui in realtà non si ha stima elevata nell’ambiente, può essere un boomerang. Perciò occorre sondare sempre prima chi è la persona che ci sta presentando a un fondo e che tipo di connessione ha con questo fondo”.

4) Pretendere chiarezza sugli accordi tra investitori e startup
“In alcuni casi – rivela Cantamessa – abbiamo visto investitori proporre contratti nei quali essi avrebbero fornito alla startup servizi in modo “captive” (cioè obbligando la startup a servirsi soltanto presso quell’investitore), ma senza fare grande chiarezza sul valore di questi servizi. Oppure, ci sono stati investitori che pretendevano di drenare le risorse che avevano messo nell’azienda facendosi pagare lauti compensi o, peggio ancora, rimborsi a pié di lista esenti da imposte”. “Molti danno servizi alle startup in cambio di equity, cioè quote del capitale – aggiunge Ciro Spedaliere – ma non è sufficiente. Occorre trovare qualcuno che rischi insieme a te. Inoltre bisogna vedere quali tipi di servizi vengono erogati. C’è qualcuno che pensa: ‘A questi startupper dò scrivania, pc, corrente elettrica e qualche altra cosetta e mi prendo l’equity”.

5) Diffidare delle strade facili
“In questo mondo nessuno regala niente – sottolinea Alberto Onetti – perciò occorre diffidare dei regali e delle strade facili”. In particolare è bene valutare con attenzione chi promette strade in discesa, introduzioni in certi ambienti o agganci con personaggi importanti. “Non è che bisogna scartare immediatamente proposte di queste tipo – aggiunge – ma dire ‘bene, vediamo di cosa si tratta’, cioè verificare che quanto promesso risponda al reale”. È anche e soprattutto una questione di buon senso.

6) Incubatori e acceleratori: verificare i precedenti
Fioriscono in tutta Italia incubatori e acceleratori per startup. Ma sono tutti validi? Per capirlo, come in qualunque scelta commerciale, occorre guardare al track record dell’incubatore e al suo portafoglio: in cosa ha investito, se le startup che ha incubato sono andate avanti o meno. Inoltre è bene parlare con chi ci è stato, così da capire meglio quali siano i punti di forza e le debolezze dell’incubatore. “Dopo aver studiato l’offerta che propongono – dice Cantamessa – se uno ha ancora dei dubbi può parlarne con altri colleghi imprenditori e con un legale”.

7) Guardarsi dalle clausole “strane”
Nei contratti con investitori, incubatori o acceleratori evitare clausole “strane” e cercare di stare il più possibile nei termini standard. “Una startup è un progetto che avrà successo se equilibrato – dice Onetti – ma non avrà le gambe se qualcuno cercherà di estrarre troppo da quel progetto. Se sono un investitore e ti chiedo l’80%, sto uccidendo la tua motivazione a fare il progetto. Ce ne sono di clausole ‘pericolose’: sui diritti di veto, sull’utilizzo dell’ idea…Inoltre a volte vengono fatte valutazioni troppo basse o troppo alte. Anche una valutazione iniziale troppo elevata può uccidere una startup, è una questione di equilibrio”. Il consiglio è esaminare le clausole standard sul mercato americano e prendere quelle come punto di riferimento. “Per quanto riguarda le clausole – aggiunge Cantamessa – bisogna stare attenti quando gli investitori propongono una sequenza predeterminata di aumenti di capitale con quote che dipendono dal raggiungimento di KPI (Key Performance Indicators, indice che monitora l’andamento di un processo aziendale) e questo si unisce alle clausole di lock-in e di non concorrenza. Se i KPI non vengono raggiunti (o per sfortuna, o anche perché non raggiungibili), si rischia di rimanere bloccati come dipendenti mal pagati di quella che fu la propria azienda. Infine ci è capitato di vedere contratti nei quali gli incubatori imponevano una riservatezza assoluta sui contenuti stessi del contratto. Attenzione, perché a nessuno si può negare il diritto di chiedere un consiglio a un professionista, o a chi è più esperto”.

8) Valutare con cautela l’apertura di una startup all’estero
Aprire una startup in Italia, tutto sommato, è ancora piuttosto complicato. All’estero tutto è – o sembra – più semplice. Per questo alcuni consulenti invitano entusiasticamente le startup ad aprire una sede fuori dall’Italia. Ma non tutto è oro quel che luccica. “Un italiano che apre all’estero – dice Ciro Spedaliere – deve informarsi ancora di più. Ora va di moda fare la Limited inglese, tipo di società che va per la maggiore appunto in Gran Bretagna, ma per il fisco italiano diventi un evasore se hai una sede estera e poi operi in Italia con dipendenti italiani. Può funzionare al massimo se vendi solo servizi online. Perciò occorre valutare bene i vantaggi ma anche i potenziali rischi”.

9) Attenzione ai clienti che non pagano
Infine attenzione ai clienti che non pagano: bisogna scaricare sempre visure camerali e bilanci dei potenziali clienti. Inoltre impostate la vostra azione commerciale in modo da incentivare i pagamenti puntuali da parte dei clienti, educandoli a “comportarsi bene” sin dall’inizio. A meno che una startup non sia molto robusta dal punto di vista finanziario, o abbia sviluppato degli accordi nei quali i clienti sono finanziati da una banca, meglio perdere una vendita o qualche punto di margine che trovarsi degli insoluti. “Purtroppo lo Stato italiano non è ancora stato capace di risolvere questo problema – conclude Cantamessa – e, in molti casi, ne é addirittura il primo responsabile”.

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