L’aumento del capital gain annunciato da Matteo Renzi subito dopo il suo insediamento a Palazzo Chigi è “atterrato” nel Documento programmatico di Economia e Finanza (DEF) approvato martedì 8 aprile dal Governo. Il capital gain è la differenza tra il prezzo di acquisto e il prezzo di vendita di uno strumento finanziario, come l’azione di una società. Quindi il guadagno che fa chi compra e poi rivende la quota di un’azienda. Adesso il prelievo è del 20% e il governo punta a portarlo al 26% per recuperare i 2 miliardi di euro necessari al taglio dell’Irap giustamente richiesto dal mondo delle imprese.
Aumentare la tassa sulle rendite finanziarie coinvolge anche l’ecosistema delle startup, proprio nel momento si concretizza l’incentivo fiscale per chi investe in nuove imprese ad alto tasso di innovazione. Una contraddizione subito notata dal venture capitalist Pierlugi Paracchi che dal nostro sito ha lanciato un appello a intervenire per evitare un effetto paradossale: da una parte spingere l’investimento verso le startup e dall’altra penalizzare chi ha investito in quelle che funzionano e possono portare a una vendita (la tanto agognata exit).
Fiscalisti ed esperti ritengono che la proposta sia fondata e sostenibile, anche perché è facilmente ipotizzabile che non avrà un grande costo: le exit sono poche e quindi il gettito che si perderebbe sarebbe marginale. Se si vuole davvero sostenere lo sviluppo delle startup non basta escluderle dall’aumento al 26%. Il segnale forte può essere bel altro: tassare le rendite finanziarie che possono produrre al 12,5%, come i Bot
Per farsi un’idea della questione vale la pena rileggere l’intervento iniziale di Paracchi e quello successivo alla diffusione dei dati Aifi sul venture capital in Italia nel 2013. Ma
anche i pareri dell‘avvocato Antonio Tomassini, partner dello studio DLA Piper, che invita a distinguere fra risparmiatori e speculatori, e dei due esperti dello studio Trevisan&Cuonzo Vincenzo Acquafredda e Stefano Fornoni, che sottolineano come far pagare meno non sarebbe solo un sostegno alle startup ma un vantaggio per tutti, casse dell’erario comprese.
Farlo è ancora possibile. Il DEF, come dice la parola, è un documento programmatico. Non è’ un decreto, non è una legge. Si tratta solo di una serie di impegni e promesse, tutte da verificare, in cui il Governo espone la sua visione a medio termine per intervenire sull’economia e sulla finanza. Adesso comincia il percorso che porterà dal piano delle idee a quello dei fatti. Il DEF del governo Monti e di quello Letta è rimasto in buona parte sulla carta. Renzi sembra più deciso ad andare avanti sulla sua strada. Si tratta solo di fargli arrivare chiaro e forte il messaggio che investire su una startup, e guadagnarci pure qualcosa, non è speculazione ma è un investimento che si fa a vantaggio della crescita del Paese (g.io)