Startup costituite online senza notaio, da oggi si torna indietro: nell’Italia delle corporazioni.
Il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso della lobby dei notai contro il decreto varato dal MISE che dal 2016 permetteva di costituire una startup gratis online senza ricorrere a questa figura professionale.
Il ricorso era stato precedentemente presentato dal Consiglio Nazionale del Notariato presso il TAR Lazio, dove era stato respinto, opposto dall’Avvocatura dello Stato per il Ministero dello Sviluppo Economico e dall’associazione Roma Startup. Ora, tuttavia, la decisione del Consiglio di Stato cambia le carte in tavola.
A partire dal 29 marzo 2021 e fino a nuovo intervento del legislatore, le startup italiane non potranno più costituirsi gratuitamente online: si torna alle vecchie, anacronistiche regole, le stesse previste per la costituzione di una Srl ordinaria, che prevedono l’obbligo di redigere un atto pubblico di fronte ad un Notaio, con tutti i costi che questo comporta – una spesa in più da mettere in conto tra i costi per aprire una startup.
Questo il provvedimento che ha accolto il ricorso
Secondo il Consiglio di Stato “il potere esercitato dal Ministero attraverso il decreto impugnato non poteva avere alcuna portata innovativa dell’ordinamento, ovvero, nello specifico, non poteva incidere sulla tipologia degli atti necessari per la costituzione delle start up innovative, così come previsti dalla norma primaria”.
La sentenza si basa sull’art. 11 della Direttiva 2009/101/CE, che sancisce che “in tutti gli Stati membri la cui legislazione non preveda, all’atto della costituzione, un controllo preventivo, amministrativo o giudiziario, l’atto costitutivo e lo statuto della società e le loro modifiche devono rivestire la forma di atto pubblico”.
Inoltre, secondo il Consiglio di Stato, il decreto del Mise avrebbe illegittimamente ampliato l’ambito dei controlli dell’Ufficio del Registro dell’imprese, “senza un’adeguata copertura legislativa che autorizzasse tale innovazione (circa il rapporto tra l’atto impugnato e la legge che ne ha previsto l’emanazione valgono le considerazione già espresse a proposito del primo motivo di appello); di conseguenza, alla luce della natura del controllo effettuato dall’Ufficio del Registro nel nostro ordinamento, così come innanzi delineato, non appaiono infondati i dubbi dell’appellante circa la possibilità di ovviare alla modalità tradizionali di costituzione delle società, pena il concreto rischio di porsi in contrasto con la Direttiva citata”.
Cosa significa?
In parole povere, è stato individuato un vuoto legislativo nella procedura prevista dal decreto, che potrebbe essere sfruttato per aggirare la procedura di costituzione ordinaria di una società srl (non startup innovativa), attraverso la creazione di una finta startup da trasformare poi in srl vera e propria. Da qui, la decisione di abrogarlo completamente, togliendo la possibilità a tutte le startup innovative di percorrere l’iter che era stato creato appositamente per agevolarle.
Si tratta di una decisione che a molti ha fatto storcere in naso.
“Mentre tutto il mondo va avanti, perfino nell’anno del G20 a guida italiana dobbiamo vergognarci per quelle lobby che lavorano imperterrite con il solo obiettivo di preservare le rendite di posizione e a discapito della competitività” ha commentato Gianmarco Carnovale, Presidente di Roma Startup, “andiamo quindi avanti a passi del gambero giocando con la credibilità del Paese, per proteggere qualche consulenza ad una piccola casta fuori dal tempo, auspicando che non ci siano conseguenze per le startup già costituite con questa modalità”.
“La traiettoria verso la digitalizzazione, sburocratizzazione e semplificazione dei rapporti tra l’amministrazione pubblica e il tessuto economico ha subito un brusco colpo di arresto proprio in un settore strategico come quello dell’innovazione tecnologica in una fase storica particolarmente impegnativa” aggiunge Angelo Coletta, Presidente di InnovUp. “Non ci voleva e come InnovUp, insieme alle associazioni di settore, faremo sentire la nostra voce non solo per tornare alla procedura di costituzione semplificata delle startup, ma anche per ulteriori provvedimenti a favore della credibilità e del rilancio del nostro Paese nel mondo. Con le startup non si scherza, questo deve essere capito una volta per tutte.”
Anche Luca Carabetta, deputato del Movimento 5 Stelle, esprime il suo dissenso:
“Depositerò immediatamente un’interrogazione al ministero dello Sviluppo Economico per chiedere conto delle attività che intende portare avanti per tutelare i nuovi imprenditori. La norma, concepita per alleggerire le procedure di avvio di una startup, ha sempre avuto supporto politico bipartisan e va incontro ai principi di semplificazione e digitalizzazione richiesti anche recentemente a livello comunitario con la proposta degli Startup Nations Standard, al fine di rendere il nostro Paese più competitivo e più ospitale per le nuove imprese tecnologiche. Rispettiamo la pronuncia della giustizia amministrativa, ma faremo di tutto per mettere il nostro Paese al passo con le migliori pratiche europee e semplificare la vita a chi vuole intraprendere e innovare”.
Secondo i dati del Ministero dello Sviluppo Economico, oggi sono circa 12.000 le startup in Italia, che danno lavoro ad oltre 70 mila giovani e producono ricavi per oltre 1,4 miliardi di euro, reinvestendone la quasi totalità in ricerca e sviluppo e in creazione di nuovi posti di lavoro. L’ecosistema delle startup in Italia è in continua crescita, ma provvedimenti di questo tipo certo non lo sostengono.