Startup, quel che piace a un investitore internazionale

Edoardo Bounous è il direttore europeo di Symphony Technology Group, fondo di private equity con ricavi complessivi pari a 2,5 miliardi di dollari, che ha fatto il suo primo investimento in Italia su JobRapido. «Le migliori promesse? BeMyEye e DoveConviene»

Pubblicato il 14 Ott 2016

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Edoardo Bounous, direttore europeo del Symphony Technology Group

“Abbiamo investito in Italia la prima volta nel 2014, ma guardavamo a questo Paese già da prima e continuiamo a guardare adesso. Ci sono bellissime realtà innovative, società che possono crescere all’estero e, nonostante i governi che si sono avvicendati in passato, gli imprenditori sono riusciti a farcela lo stesso”. A parlare è Edoardo Bounous, direttore europeo del Symphony Technology Group, fondo di private equity californiano con oltre 15mila dipendenti sparsi negli uffici di Palo Alto, Londra e Bangalore. Le aziende sulle quali ha investito (una ventina in tutto) producono complessivamente 2,5 miliardi di dollari di ricavi. Un colosso degli investimenti, insomma. Bounous, già Ceo di Amber Capital Investment SGR in Italia, poi Ceo della startup JobRapido e in Symphony dal 2014 è stato uno dei venture capitalist internazionali invitati a Tech Insights 2016, l’evento organizzato da United Ventures SGR, venture capital fondato da Massimiliano Magrini e Paolo Gesess e specializzato in investimenti in società innovative nei settori del software e delle tecnologie digitali.

Bounous precisa a EconomyUp che il Symphony Technology Group si occupa di equity, quindi il suo focus sono le aziende di grandi dimensioni. Ma il primo investimento in Italia è stato su una startup, JobRapido, di cui è diventato Ceo. Quindi può restituire il sentiment di un investitore internazionale che valuta l’ecosistema delle startup italiane. Soprattutto in un momento in cui sembra davvero che qualcosa si stia muovendo in questo senso: sostiene Lorenzo Franchini, ideatore di ScaleIT, evento che il 12 ottobre ha fatto incontrare startup italiane ad alto potenziale di crescita e fondi di venture capital internazionali, che nell’ultimo anno ci sono state almeno 8 operazioni di investimento su scaleup fondate da italiani. I nomi non sono ancora tutti noti perché le operazioni non sono state rese pubbliche. Tuttavia è un segno di interesse nei confronti del nostro ecosistema.

Bounous, le startup italiane sono attrattive per gli investitori esteri? Se sì, quali sono più interessanti e in quali settori?
Sicuramente il lifestyle fa parte della tradizione italiana. Ma sono interessanti anche le realtà innovative che stanno nascendo nell’healthcare: Dedalus è una di queste. Il fintech è un settore dove ci sono realtà attraenti, così come il media advertising. Anche l’HR tech è un comparto che sta attirando capitali perché stanno cambiando le modalità di lavoro, ci saranno sempre meno impieghi full time: la nascita e l’affermazione di piattaforme come JobRapido e Findly sono lì a dimostrarlo. Inoltre le società stesse stanno gestendo le risorse umane in modo completamente diverso da prima. Se devo fare qualche nome di startup italiane promettenti penso a DoveConviene, piattaforma digitale che informa su promozioni e prodotti dei negozi vicino a casa, o a BeMyEye, scaleup che permette alle aziende, in una logica di crowdsourcing, di chiedere a persone comuni, in cambio di un piccolo compenso, di andare a controllare tramite smartphone come è esposta e trattata la loro merce nei punti vendita. Sono infatti società che stanno crescendo all’estero. In generale in Europa siamo interessati al software e al data science.

Lei è stato tra i protagonisti della vicenda aziendale della startup JobRapido, acquisita dal Symphony technology group per una cifra mai svelata. Quale insegnamento possono trarre gli startupper da questa storia di successo?
Vito Lomele, che aveva fondato la piattaforma di ricerca e offerta di lavoro online nel 2006, ha dimostrato che, indipendentemente dal Paese in cui ti trovi e vuoi costituire una società, se sei un imprenditore e hai il giusto fiuto lo puoi fare. Lui è partito da Milano e nel giro di pochi anni ha creato una società che aveva un fatturato importante, era in profitto, era presente in 35 diversi Paesi, aveva più di un miliardo e 200mila visitatori all’anno. L’ha venduta in profitto, nel 2012, alla società Evenbase del gruppo editoriale Dmgt (Daily Mail and general trust, che pubblica il Daily Mail). Successivamente Jobrapido è stata a sua volta acquisita da noi. Lomele è riuscito ad attrarre talento in Italia e far capire che chi vuole può farcela. Sicuramente oggi ci sono nuovi Viti tra gli startupper. E lo stesso Vito Lomele avrà in serbo qualcosa di nuovo.

Nel piano Industria 4.0 si parla anche di un fondo per il venture capital. Aiuterà a incrementare gli investimenti?
Se si farà sarà sicuramente positivo. Bisogna però vedere le modalità con cui verrà fatto e soprattutto quali saranno le scelte e i parametri di investimento. Perché sarà importante riconoscere chi veramente merita un investimento e i quali saranno le possibilità di co-investimento di investitori istituzionali. Per quanto riguarda gli investimenti, vorrei però specificare che serve tempo per trasformare un business e modificarne lo schema. In media noi concediamo dai 6 agli 8 anni alle aziende sulle quali investiamo per far decollare il business. Accettiamo i primi tre/quattro anni di perdite. Poi però, se non va, chiudiamo.

Lei ha vissuto 16 anni a Londra. Quali ripercussioni avrà sull’ecosistema europeo delle startup l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea?
Ci sarà un impatto, lo stiamo vedendo, ma alla lunga il Regno Unito non perderà la propria posizione. Ha troppi vantaggi: la lingua inglese, il fuso orario in bilanciamento tra Asia e America, una struttura molto poco burocratica che consente di avviare un’azienda con estrema facilità. Poi gli inglesi sono molto pragmatici: la politica è una cosa, ma il business continua a correre sui propri binari.

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