Startup, le delusioni (e gli imprevisti) di un decreto

Ora che sono in vigore le agevolazioni fiscali rivelano alcune criticità. Se si va oltre il 30% si perde il vantaggio. Così come se arrivano capitali per oltre 2,5 milioni. Non è chiaro poi quali “piani di investimento” conservare. Per risolvere le incertezze sarebbe utile un tavolo di confronto al Mise

Pubblicato il 13 Mag 2014

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Giangiacomo Rocco di Torrepadula, founder di Quasarmed, startup nel settore della telemedicina

Tutti noi conosciamo il decreto legge 179 del 2012, convertito con modificazioni con legge 17 dicembre 2012 n.221, che tra le varie cose negli articoli 25-32 regola le agevolazioni per le startup innovative. L’articolo 29 del decreto prevede le agevolazioni fiscali per i soggetti che investono in tali startup facendo rinvio a un decreto attuativo per l’applicazione della norma. Tale decreto è uscito ed è stato pubblicato (D.M. 30 gennaio 2014, pubblicato in G.U. 20 marzo 2014 n.66). È quindi in vigore.

Dalla lettura emergono alcune criticità che riportiamo di seguito, sottolineando che si tratta di aspetti non previsti dalla norma originaria.

– Articolo 2, comma 3d) introduce un limite soggettivo: non possono beneficiare dell’agevolazione i soggetti che alla data dell’investimento possiedano più del 30% della startup.

È una norma che tende a penalizzare coloro che più sostengono e credono nell’iniziativa, siano essi i fondatori o soggetti investitori istituzionali, finendo così per disincentivare il contributo che tali soggetti possono portare all’innovazione e alla crescita della start-up.

– Articolo 4 comma 8) introduce il limite complessivo ai conferimenti nella startup a 2,5 milioni l’anno, pena la perdita del beneficio fiscale per tutti investitori

Qui si crea una condizione di incertezza per cui un socio che crede di beneficiare di un incentivo, poi in corso d’anno scopre che così non è perché si richiede un nuovo aumento di capitale originariamente imprevisto (situazione che può capitare). Con un ulteriore complicazione: una start-up che ha bisogno di capitali importanti per consolidare la propria crescita e ha trovato soggetti disposti a investirli, può vedersi bloccata perché alcuni investitori non vogliono superare il limite dei 2,5 milioni per non perdere il beneficio fiscale (e per non farlo perdere a tutti gli altri). E ciò è tanto più vero alla luce del punto precedente se consideriamo che proprio gli investitori più forti potrebbero volere l’investimento (avendo più del 30% hanno già perso il beneficio), mentre i più piccoli (magari riuniti insieme) sarebbero contrari per non perdere il beneficio, con il risultato di porre un freno alla crescita.

– Articolo 5b): per detrarre l‘imposta, gli investitori devono ricevere e conservare “copia del piano di investimento della startup innovativa, contenente informazioni dettagliate sull’oggetto della prevista attività […], sui relativi prodotti, nonché sull’andamento previsto o attuale delle vendite e dei profitti”

Qui si apre un dubbio interpretativo: cosa significa “piano di investimento” e informazioni “dettagliate”? Il piano è annuale, biennale, quinquennale? Dettagliate a che livello? Inoltre la start-up innovativa vive per definizione in una condizione di incertezza: “innovativa” vuol dire andare ad aprire il mercato, portando prodotti o soluzioni del tutto ignote ai potenziali clienti sino a quel momento. Nessuno sa se i clienti saranno recettivi alle soluzioni ipotizzate e solo l’esperienza lo potrà dire (il cosiddetto “try and fix it”). La forza di una start-up sta nella capacità di adattare le proprie soluzioni alle reali esigenze del mercato, piuttosto che nella pianificazione. Il risultato per gli investitori è un potenziale molto alto di contenzioso fiscale data l’incertezza della previsione, con un rischio anche per gli amministratori ai sensi della 231.

Abbiamo brevemente avuto modo di interagire su questi problemi con Stefano Firpo, Capo della Segreteria Tecnica del Ministro – Ministero dello Sviluppo Economico. Sembra che sui primi due punti il problema sia di vincoli della Comunità europea. Il limite dell’articolo 4 comma 8 (i 2.5 milioni) dovrebbe essere presto superato da una revisione della normativa europea che lo innalzerebbe a 15 milioni. Meno chiara la possibilità di lavorare sul limite dell’articolo 2 comma.3d (soglia del 30%), che sembra dipesa dalla volontà sempre europea di escludere il “friend money”. Credo (mia opinione) che sia invece possibile lavorare senz’altro sulla richiesta di piano dell’articolo 5b.

Questo il quadro sinora: purtroppo peggiorativo della norma iniziale. Ovviamente tutti sappiamo e apprezziamo l’impegno che Firpo e Fusacchia con i loro staff hanno sempre speso per sostenere in Italia le start-up innovative, anche in condizioni di forti vincoli e criticità europee (e non solo). Per cui la miglior cosa che possiamo fare è unire tutti i nostri sforzi per ottenere con il Ministero un tavolo di confronto tecnico dove poter portare nel modo più sereno e collaborativo i nostri contributi, nel tentativo di riportare la norma ai suoi confini iniziali.

* Giangiacomo Rocco di Torrepadula, startupper (g.rocco@quasarmed.com)

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