L'ANALISI

Startup, i contratti di investimento seed e pre-seed hanno davvero senso? 5 risposte

Un term sheet di una pagina e poi 80 pagine di contratto. Ha senso negli investimenti seed e pre-seed che spesso sono anche di breve durata? Perché si fa, allora? Ecco le risposte di un investitore, che portano alla proposta di un nuovo template, più semplice e comprensibile

Pubblicato il 17 Gen 2024

contratti pre-seed

Hanno davvero senso i tempi e i costi per un contratto pre-seed?

Da molti anni mi occupo, in Italia, di investimenti in startup in cui il software costituisce una tecnologia differenziante o, comunque, un elemento fondamentale del prodotto finale. In particolare, il mio campo di interesse sono le startup nelle fasi dette pre-seed e seed, cioè in quegli stadi di sviluppo dove ancora va compreso bene quale sia il reale valore di mercato del prodotto proposto. Relativamente a questa situazione una delle cose che mi ha sempre particolarmente colpito sono i tempi e i costi necessari a formalizzare accordi che, spesso, sono relativamente semplici e che, altrettanto spesso, sono molto simili tra loro.

Contratto pre-seed, oltre 80 pagine in legalese spinto

Facciamo un esempio: il veicolo con il quale faccio investimenti ha un term sheet (cioè una sorta di breve riassunto del contratto di investimento che riporta i principali punti dello stesso in un linguaggio che sia il più comprensibile possibile) di una pagina. Ebbene il contratto di investimento relativo è costato molte migliaia di euro di avvocati ed è composto, tra una cosa e l’altra, di oltre 80 pagine in legalese spinto. Tale contratto è così complicato da leggere che io stesso non l’ho mai letto da cima a fondo e non ho mai capito almeno il 70% delle cose che riporta.

Certamente non sono la persona più in gamba sul mercato del venture capital italiano, ma sono abbastanza certo che molti colleghi, e certamente molti imprenditori, che firmano questi contratti hanno una comprensione degli stessi analoga alla mia e facciano riferimento ai Term Sheet per sapere cosa c’è scritto nei contratti stessi.

Perché il contratto pre-seed è così complicato? 5 risposte

Il continuo riproporsi di questa situazione mi ha indotto a chiedermi come mai le cose stessero così. In questo articolo provo a dare delle risposte.

Gli aspetti tecnici

Il primo motivo che mi viene in mente è legato ad aspetti tecnici. Il venture capital è nato e si è sviluppato in un paese, gli USA, che ha un quadro normativo molto differente dal nostro. Da questo punto di vista “tradurre in italiano” (se così mi posso esprimere) concetti e pratiche pensate per un contesto molto differente non è certamente compito semplice.

A titolo di esempio si pensi al vesting, cioè alla pratica, comune nelle startup, di  diventare effettivamente proprietari delle proprie quote solo al verificarsi di certi eventi, generalmente associati ad aver lavorato nella startup per almeno un certo numero di anni. Scrivere sul term sheet “i fondatori della startup saranno soggetti ad un vesting di 4 anni” è semplice e tutti capiscono di cosa si parli. Nel contratto che ho io la cosa si sviluppa su diverse pagine perché, semplicemente, questo tipo di “esproprio” delle quote di un socio non è possibile in Italia senza una lunga e complessa analisi.

Le difficoltà del venture capital in Italia

Il secondo motivo è legato alle difficoltà del venture capital in Italia. Si tratta di un mercato ancora minuscolo dove pochi operatori fanno una fatica incredibile per raccogliere denaro e dove le acquisizioni domestiche, vero elemento di sostegno che c’è negli USA, sono poche e a valori bassi. In un mercato come questo è forse inevitabile che ci si concentri molto sul downside, cioè che succede se la startup va male, piuttosto che sull’upside, cioè cosa succede se la startup va bene.

E il downside è quello che generalmente occupa più pagine in un contratto di investimento semplicemente perché è la situazione che più facilmente può generare discussioni accalorate (quando si diventa ricchi, tutti diventano più o meno generosi, ma quando le risorse finali sono pochissime le discussioni su come distribuirle tra i soci possono essere veramente spiacevoli).

I template usati dagli studi legali

Un terzo motivo è legato al fatto che tutti sono sempre piuttosto restii a pagare significative parcelle agli studi legali per affari la cui dimensione è piuttosto piccola, per cui gli studi stessi tendono a riutilizzare, nella estensione dei contratti, sempre gli stessi template che usano da anni, con i risultati che potete immaginare: tralasciando veri e propri errori macroscopici (a me, ad esempio, è capitato di leggere contratti in cui si faceva chiaramente riferimento a cose che con l’accordo discusso non c’entravano veramente nulla).

C’è poi il fatto che anche il venture capital evolve nel tempo, per cui pratiche considerate standard 10 anni fa non sono più tali oggi, nulla mi toglie dalla mente che la necessità di rilavorare vecchi contratti fa sì che le astrusità che si leggono siano figlie della necessità di definire i nuovi patti mantenendo però una coerenza con i diversi “strati” su cui, a partire da contratto originale stilato molti anni addietro, si è formato nel tempo il template usato.

La breve durata del contratto

Un quarto motivo è legato al fatto che spesso, per motivi a volte comprensibili a volte meno, sembra che chi firma un contratto pre-seed o seed non tenga conto che è un contratto di breve durata. Quello che voglio dire è che la durata di uno di questi contratti raramente è superiore a 18 mesi e, anzi, spesso è inferiore all’anno.

Se una startup, infatti, procede nel suo cammino come da attese, generalmente riesce a chiudere un nuovo round di investimento in tempi piuttosto rapidi (ad esempio, le startup che fanno dei buoni programmi di accelerazione sono in grado di fare una nuova operazione di aumento di capitale in genere in 6/8 mesi dalla firma del primo accordo di investimento). Che senso abbia spendere tempo, denaro e spesso anche il buonumore per definire i dettagli più minimi su un contratto che varrà zero pochi mesi dopo è, per me, un mistero.

Infine un quinto motivo è legato, credo, all’aspetto culturale del nostro paese, perché non trovo altra spiegazione: agli italiani piace disquisire su elementi di principio indipendentemente dalla loro validità pratica. Provo a chiarire: l’idea che è alla base di ogni contratto di investimento in startup è piuttosto semplice: mantenere allineati gli interessi degli investitori e quelli dei fondatori. Ma allineati a cosa?

Anche qui la risposta è semplice: al fatto che la startup deve svilupparsi piuttosto rapidamente in modo da valere molti soldi. E’ un semplice principio economico: tutto quello che attiene l’investimento in startup deve essere efficiente in termini economico-finanziari. Ma allora perché sprecare risorse a discutere di cose che poi, nella pratica, se disattese non vedranno mai alcuna conseguenza legale?

Facciamo un esempio: tutti i contratti di investimento prevedono che le startup producano dei report di andamento periodici, spesso mensili, secondo standard definiti dagli investitori, pena azioni severissime nei confronti delle startup stesse. Nella pratica, le startup nelle fasi pre-seed e seed producono report di fantasia, spesso ad intervalli discontinui e con formati vari e nessuno fa nulla semplicemente perché andare a discutere legalmente la cosa non è economicamente sano. Ma allora perché li abbiamo discussi in sede contrattuale?

Un nuovo template di contratto per gli investimenti seed e pre-sedd

La riflessione su questi temi mi ha portato, qualche tempo addietro, a parlarne con Massimiliano Caruso, un caro amico nonché brillante avvocato abilitato in USA, dove risiede, e in Italia. Sulla base di queste chiacchierate Massimiliano ha definito un nuovo template adatto agli investimenti pre-seed e seed, template che abbiamo deciso di rendere “open source” mettendolo a disposizione di chiunque voglia utilizzarlo o arricchirlo.

Ovviamente non ci aspettiamo che tale template sia esente da miglioramenti, ma riteniamo che valga la pena conoscerlo perché contiene almeno due cose rilevanti: la prima è la constatazione che il quadro giuridico italiano, così profondamente diverso da quello USA, consente di creare contratti pre-seed e seed snelli e facilmente comprensibili (cioè esattamente il contrario di quello che viene in genere percepito); la seconda è la proposta assolutamente innovativa, e che se implementata potrebbe certamente essere qualcosa di rilevanza internazionale, il primo vero contributo italiano all’intero venture business, è la creazione di una Camera Arbitrale delle Startup, cioè di un ente super-partes che regoli le controversie che possono nascere tra soci tenendo in considerazione le best practice in tema startup e venture capital maturate a livello internazionale negli anni.

In un prossimo articolo sarà proprio Massimiliano Caruso a illustrare tecnicamente i contenuti e gli aspetti innovativi del nuovo template.

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Augusto Coppola
Augusto Coppola

Dopo esser stato parte del founding team di startup internazionali, avendo esperienza diretta sia di significativi successi che di altrettanto importanti fallimenti, Augusto è passato dall’altra parte del tavolo diventando un venture capitalist. Negli ultimi 10 anni ha investito in oltre 100 startup pre-seed e seed.

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