Prima o poi doveva succedere, si sperava di no ma gli altarini degli enti pubblici che si occupano di startup a vario titolo iniziano a svelarsi. Siamo ancora in un momento in cui, a parte un paio di casi, si sollevano obiezioni di opportunità e di trasparenza e non di illegalità ma è sintomatico apprendere da più parti e da diversi territori che l’incontro tra enti pubblici e startup non è sempre del tutto limpido. Ho già ampiamente sottolineato il fatto che gli enti pubblici non dovrebbero occuparsi di questo tema né a livello legislativo né a livello finanziario perché la loro ingerenza altera il sistema e ha come conseguenza quella di creare una falsa illusione per tanti che provano a fare gli imprenditori: è questo l’effetto della distorsione che l’intervento pubblico ha sulle normali regole di mercato, cosa che in Italia avviene a tutti i livelli. Ora però si va oltre, si sconfina, si assiste a casi in cui la trasparenza e gli equilibri alterati non sono più solo quelli di mercato ma anche quelli della credibilità e affidabilità dei pubblici amministratori che si inventano esperi di startup, gestori di fondi di investimento, gestori di incubatori, ecc.
Queste vicende sono molto tristi non solo perché per l’ennesima volta confermano che nella pubblica gestione è sempre in agguato il torbido, ma perché soprattutto hanno conseguenze spesso molto serie sul lavoro di tante persone con grandi capacità, grande desiderio di fare, grande entusiasmo che si trovano poi invischiate in contesti che fanno discutere e che inevitabilmente hanno effetti negativi sul loro lavoro.
E poi c’è l’altro triste aspetto, quello che vede diventare ogni vicenda occasione di scontro politico tra le fazioni al governo e quelle all’opposizione così anche questi episodi diventano oggetto di sterili e spesso ottuse polemiche politiche locali
Già locali perché nei casi fino a qui emersi si tratta di realtà locali: Trento, Pescara, la Puglia, il Veneto, realtà che compiono atti poco chiari o a volte presunti illegali che stanno emergendo grazie al lavoro di giornalisti di testate locali. E che quasi mai vengono ripresi dai media nazionali.
Così succede che in Veneto viene dichiarato fallito Veneto Nanotech (qui gli articoli del CorriereVeneto, del Mattino di Padova e di VenetoEconomia ) che di cose interessanti e di alto profilo ne ha fatte; a Trento fa la stessa fine TrentoRise (qui gli articoli del Corriere del Trentino sulla liquidazione e sulle indagini conseguenti , sui blitz della Guardia di Finanza, sui licenziamenti e sull’inchiesta), che anch’esso aveva prodotto iniziative di rilievo; a Pescara si iniziano a intravedere le prime ombre attorno alla Fira, la finanziaria regionale (qui puoi leggere altri dettagli sull’uso dei fondi pubblici a favore delle startup in Abruzzo).
Intanto in Puglia l’Università del Salento fa una ricerca sull’andamento delle startup finanziate con soldi pubblici rilevando che i risultati sono tutt’altro che soddisfacenti con conseguente replica della locale Agenzia regionale per la tecnologia e innovazione (Arti).
Staremo a vedere quali di questi casi, e altri che eventualmente emergeranno, avranno profili penali, quali invece riveleranno solo strategie e scelte politiche errate e o poco trasparenti. Il punto è però che questi episodi minacciano il processo di evoluzione dell’ecosistema italiano ponendo le iniziative di genesi pubblica in forte imbarazzo e minacciando la credibilità anche di quelle, sempre pubbliche, che invece stanno funzionando bene, in modo trasparente e raccogliendo anche i primi significativi risultati.
Se proprio gli enti pubblici a tutti i livelli desiderano occuparsi del tema delle startup che almeno lo facciano in modo corretto e che si impegnino periodicamente a valutare l’efficacia delle loro azioni e a cambiare strategia se le cose non funzionano come dovrebbero e i risultati non arrivano. Che la trasparenza sia applicata sempre: nelle gare di assegnazione dei fornitori, nella selezione delle startup, nella nomina di persone a cui assegnare incarichi e che vengano pubblicati periodicamente rendiconti oggettivi possibilmente verificati da terze parti indipendenti.
Sono scelte necessarie se gli enti pubblici intendono continuare ad avere un ruolo attivo e diretto in questo ambito. Se invece, come sarebbe più giusto, decidessero di lasciare questo tipo di attività ai privati incentivando la sana economia di mercato, potrebbero dedicare le loro risorse a rendere questo Paese maggiormente ospitale e competitivo per chi fa impresa, agendo ad esempio sui punti che la recente indagine presentata al World Economic Forum in corso in questi giorni e intitolata Global Competitiveness Report 2015-2016 indica come fondamentali per la crescita della competitività e della innovazione. E stiamo parlando della formazione di alto livello dove siamo 45esimi (su 140 Paesi esaminati), della diffusione dell’utilizzo di internet (52esimi), della capacità di innovazione (37esimi), delle pubbliche istituzioni (104esimi), del sistema bancario (96esimi), del sistema fiscale (129esimi), ma anche della capacità di attirare talenti e capitali, dell’accesso agli strumenti finanziari, delle infrastrutture fisiche e di comunicazione. Tutti elementi che appaiono ancora punti deboli e pongono l’Italia al penultimo posto nella classifica delle economie sviluppate, sotto di noi solo la Grecia.
La valutazione generale pone l’Italia al 43esimo posto nella classifica complessiva (prima è la Svizzera seguita da Singapore, Usa, Germania, Olanda, Giappone, Hong Kong, Finlandia, Svezia, Regno Unito) con un miglioramento rispetto all’analisi precedente quando eravamo 49esimi ma la posizione è ancora insufficiente per potere esultare. Siamo infatti ancora al 65esimo posto per la qualità del sistema educativo, al 132esumo per la formazione professionale, al 41esimo per l’educazione matematica e scientifica, al 26 esimo per disponibilità di scienziati e ingegneri, al 119esimo per fiducia del management, al 131esimo per pagamenti e produttività, al 132esimo per le pratiche di assunzione e licenziamento, al 127esimo nella cooperazione tra lavoratori e datori di lavori, al 134esimo per la flessibilità di determinazione dei salari, al 113esimo per capacità di trattenere i talenti e al 115esimo per quella di attirare i talenti (il Global Competitiveness Report è disponibile qui, la rivista online Quartz ne ha pubblicato una versione interattiva)