Ho letto con interesse il pezzo che ci avete dedicato sulla nostra petizione su Change.org, “Aiutiamo le startup innovative ad assumere più giovani disoccupati #JobsUp” e, per un migliore confronto, ho pensato di scrivere la presente replica, che ho intitolato poeticamente “la solitudine del leone” e che spero vorrete pubblicare.
Qualcuno dice che il male peggiore sia l’indifferenza sul leitmotiv del “purchè se ne parli”. E in un Paese in cui emergere e farsi ascoltare dagli stessi referenti che ti dovrebbero supportare è difficile, per un imprenditore è solo una sfida in più da aggiungere alla lista delle quotidiane battaglie. Ma andiamo per ordine. Come ex dipendente di aziende come Yahoo, Expedia e Gruppo Espresso, e ora come imprenditore o meglio startupper (perchè sennò “fa brutto”) ho avuto modo di approfondire su ambo i fronti il tema del lavoro e del rischio di impresa. Ebbene, sono uno di quelli che ha accolto positivamente il Jobs Act e le sue misure di sgravio del costo del lavoro ma come tutte le misure una tantum ha poco senso se non le si rende strutturali.
Se l’obiettivo del Jobs Act era quello di fare ripartire le assunzioni e combattere il precariato, è stato di sicuro un buon strumento per le imprese in generale. Ma le startup, specie quelle innovative che devono creare innovazione, hanno un fardello di rischio maggiore da portare perchè devono rilasciare un proprio servizio o prodotto che va validato, nonchè dimostrarne la traction quando si sa che non fattureranno per un pezzo. Si muovono cioè in acque più agitate. Uno dei maggiori temi sul piatto della bilancia è che i costi sono per lo più certi mentre il successo no. E tra i costi maggiori di una startup ci sono proprio quelli del lavoro che in Italia, si sa, sono particolarmente alti.
Se da una parte il legislatore ha introdotto nel 2015 sgravi sulle nuove assunzioni a tempo indeterminato, nel 2016 le ha ridotte e sottratto la possibilità di collaborare con contratti a progetto. Quindi la legge di Stabilità 2016 non solo non ha dato tutte le risposte ma ha semmai sollevato altri problemi. Sarebbe interessante approfondire piuttosto come mai questi rilievi li faccia solo “uno startupper, pieno di buone intenzioni” – come scrivete voi. Ma leggo che avete dato anche una possibile risposta: “che non è detto abbia anche le competenze e gli strumenti per un’attività di rappresentanza politica ai limiti del lobbismo”. Ecco, voglio rassicurare tutti che le competenze lato mio ci sono e che essere propositivi, metterci la faccia e fare quadrato in Italia è sempre rischioso perchè si guarda il dito anzichè la luna. Ma confido di fare ulteriore chiarezza sul tema.
Alla fine la mission di uno startupper è costruire ponti e abbattere muri. Una nuova impresa pertanto non è il veicolo migliore per combattere il precariato in quanto – specie all’inizio – si prediligono tutti quei contratti flessibili che invece il Jobs Act vuole eliminare a partire dal contratto a progetto che dal giugno 2015 non è più possibile stipulare, mentre dal 1º gennaio 2016 sono stati obbligatoriamente trasformati quelli in vigore in quanto tale forma di lavoro è stata abolita definitivamente. Ha proseguito riformata, invece, la collaborazione coordinata e continuativa (contratti co.co.co) per le cariche amministrative e i soci lavoratori, mentre per le pubbliche amministrazioni vale… curioso, vero?
Noi di Wayonara abbiamo utilizzato gli incentivi offerti dal Jobs Act per assumere a tempo indeterminato, ma una startup all’inizio per risparmiare può scegliere di fare lavorare in nero il proprio team – cosa che tutti noi deprechiamo ma che può avvenire – o meglio proporre contratti precari a partita Iva, con voucher o altri strumenti poco utili e di difficile applicazione come il work for equity. Stage e contratti di apprendistato hanno senso solo dopo l’avvio. Questo, unito al fatto che trovare fondi in Italia è difficile e che un sistema impresa in fondo non c’è o non funziona, non è d’aiuto.
Non sarebbe quindi meglio permettere di assumere con contratti più regolari a tempo determinato o indeterminato? Alla fine col Jobs Act la flessibilità è garantita grazie al meccanismo di tutele crescenti e se il contratto a tempo indeterminato era quello meno usato anche per la sua onerosità, ora potrebbe invece essere riconsiderato ma solo in presenza di congrui sgravi. On top potremmo chiedere di applicarli anche sul determinato per le startup innovative, perchè con gli attuali sgravi l’indeterminato risulta meno allettante, il determinato non è incentivante e un contratto a progetto non è più un’opzione.
Già nel 2015 lavoravamo a fare pervenire al governo questo suggerimento, ma siamo stati ovviamente ignorati sia dai canali politici che abbiamo provato ad attivare, che da quelli più informali o informativi. Motivo per cui da poche settimane abbiamo avviato la nostra petizione denominata #JobsUp e abbiamo ricontattato vari media, provato a coinvolgere incubatori e gruppi Facebook di Startup. I primi sottoscrittori hanno capito subito la portata e il valore della nostra proposizione e l’hanno quindi sottoscritta. Sappiamo che il tema, per quanto riguardi tutti, alla fine non sia immediato ai più per i suoi tecnicismi, specie se non si vive il day-by-day; ed è anzi importante e fondamentale ricevere critiche e suggerimenti da tutti per migliorare la nostra proposta e farne un pacchetto strutturato e condiviso con tutti gli interlocutori in campo.
Altro tema: parlare di startup alle startup è “impossibile”. Questo tipo di iniziative e approfondimenti ha ormai poco spazio nei media. Il Mise mette a disposizione un elenco di startup innovative ma senza indirizzi email né pec. Per cui arrivare direttamente alle startup è arduo e dispendioso in termini di risorse. Pertanto la domanda politica c’è, e non è sbagliata. Bisogna chiedersi come mai una startup che si batte nel silenzio generale non riesca ad essere propositiva senza scatenare polemiche. Se avessimo fatto l’elenco delle persone contattate da cui non abbiamo avuto risposte, il vostro articolo avrebbe giustamente avuto un altro taglio. Io vi ringrazio per l’attenzione e chiedo ai lettori, in virtù delle ulteriori delucidazioni di aiutarci e firmare la nostra petizione su www.jobsup.it Colgo inoltre l’occasione per invitare tutti gli interlocutori coinvolti ad aprire un dibattito sul tema per fare fronte comune su un pacchetto di misure condivise. Noi startupper siamo come quelle gazzelle che ogni giorno sanno di dovere correre più veloci del leone o che ci dobbiamo muovere in gruppo per arrivare alla meta.
* Carlo Oppo è Ceo e co-founder di Wayonara, startup di travel social commerce