Questa settimana il presidente francese Emanuel Macron ha mostrato i muscoli dell’innovazione e della tecnologia. All’inaugurazione di VivaTech, dimenticando per un momento i guai della pandemia e la litania della ripartenza, ha fatto una serie di annunci che rivelano un obiettivo: la Francia punta alla leadership continentale dell’innovazione e della tecnologia adesso che la Gran Bretagna è fuori dall’Unione Europea.
Si sa, i francesi hanno la grandeur e nel loro DNA resiste qualcosa di napoleonico ma quel che stanno facendo fa vedere ancora più chiaramente i limiti di un’Italia garibaldina e mazziniana quando si tratta di parlare di startup e di futuro.
Il presidente di InnovUp Angelo Coletta, dopo aver ascoltato in presenza le President, su Linkedin ha espresso un desiderio che forse un giorno solo il genio della lampada potrà esaudire. “Mi piacerebbe mettere Draghi, Colao e Giorgetti e tutti gli attori dell’ecosistema per proiettargli un pezzettino piccolo piccolo di Star Wars in cui il maestro Yoda spiega a Luke Skywalker un concetto molto semplice “do or don’t. There is no try”. La suggestione è forte e pur nella sua antiscientificità ben rappresenta quella miscela di frustrazione e di invidia che inevitabilmente prova chiunque abbia a cuore non solo l’ecosistema delle startup ma la competitività del Sistema Italia e il suo futuro.
I cugini d’Oltralpe hanno capito bene qualcosa che in Italia la classe dirigente fa ancora fatica a cogliere: preoccuparsi delle esigenze e dei problemi delle startup non significa star dietro a qualche migliaio di imprenditori stravaganti che ci stanno provando. Questa è la retorica della startup. La realtà dello startup è invece un’altra: la fase di avvio di nuove impresa che crescendo producono ricchezza, occupazione, innovazione e creano le condizioni per il futuro, per un nuovo Paese.
Macron ha promesso nuove iniezioni di capitali a favore delle startup, miliardi di euro non peanuts da distribuire per far contenti un po’ tutti. Ha poi annunciato che nel febbraio 2022 ci sarà a Cannes un festival mondiale dedicato all’Artificial Intelligence, una sorta di Palma d’Oro della tecnologia e dell’innovazione. E ha persino parlato di investimenti sul Quantum Computing (le Iene potrebbero fare uno dei loro quiz su strada all’uscita dal Parlamento, ci sarebbe da ridere…). Solo annunci? Non sembra. Ecco, per riprendere l’immagine evocata da Angelo Coletta, i “do” del Francia (aiutandoci con qualche dato estratto da Dealroom) per capire meglio i “don’t” dell’Italia.
♦ La Francia è il Paese che nel marzo 2020, di fronte all’esplodere della pandemia, fa subito una potente iniezione di liquidità a favore delle startup di 4 miliardi. In Italia stiamo ancora cercando di capire dove sono e a che cosa serviranno i 500 milioni messi su EneaTech
♦ In Francia c’è un presidente della Repubblica che riceve a palazzo 100 e passa startupper per discutere delle sua intenzione di mettere altri 7 miliardi sull’ecosistema, senza usare la pandemia come priorità che in questo momento non consente di preoccuparsi di quelle cose chiamate startup. In Italia abbiamo ministri che preferiscono ricevere i notai invece che le startup.
♦ La Francia ha un presidente della Repubblica che nel 2019 aveva detto “creeremo 25 unicorni “e adesso si dispiace perché sono solo 13. In Italia l’unicorno resta ancora un animale mitologico. Solo nell’ecosistema si discute da settimane se ne abbiamo uno (Yoox) o due e il secondo è comunque una società di diritto inglese (Depop)
♦ In Francia nel 2021 c’è stato un round seed da 24 milioni (Sunday, pagamenti per la ristorazione). Il taglio medio comunque è di 2 milioni di euro, sopra la media europea (1.5).
♦ La Francia è il Paese dove ci sono round di Serie A da 75 milioni di euro (Mnemo Therapeutics). Negli ultimi 10 anni in questa fascia di investimenti la taglia media è crescita del 500%, da 2,4 a 14,6 milioni nel 2021, andando ben al di sopra della media europea (11 milioni)
♦ La Francia quest’anno ha avuto un round B da 131 milioni (sulla fintech Lydia) guidato da Accel. Da notare: gli investimenti americani in Europa nei primi mesi del 2021 hanno già superato il totale 2020 (10,1 miliardi). In Italia non ce ne siamo ancora accorti.
♦ La Francia è stato l’unico dei tre grandi mercati europei (GB e Germania) a crescere nel 2020, raggiungendo per la prima volta i 5 miliardi di investimenti in startup. In Italia siamo ancora sotto il miliardo.
♦ In Francia c’è un’agenzia governativa che si chiama La French Tech che ogni anno pubblica una lista di oltre di 100 startup (120 nel 2021) che ottengono accesso ai ministeri, alla rete delle camere di commercio all’estero e alle aziende pubbliche e possono contare sul supporto di un team di 50 persone dislocate nelle diverse agenzie governative centrali e locali. In Italia non abbiamo neanche un viceministro o sottosegretario con delega specifica.
♦ In Francia c’è un tech visa che il Financial Times ha indicato come modello per il Regno Unito che adesso è fuori dalla UE.
Conclusione. Se la Francia è entrata di diritto sulla scena internazionale dell’innovazione, non è un caso. E adesso che ha superato in volata la Germania è a un passo dal sedersi sul trono europeo della tecnologia. Non è la prima volta che accade, perché Francia e Italia sono due economie diverse anche se ogni ci piace sentirci simili, ma la parentela è molto alla lontana. Chi governa il mondo del lusso e del fashion? E nell’industria dei servizi finanziari? A Parigi ci sono le multinazionali, in Italia le branch o le prede prossime venture. C’è un sistema, che da vino e formaggi a tecnologia, riesce a muoversi con supponenza forse (traduciamo così grandeur?) ma anche con coerenza e determinazione, secondo la tradizione di uno Stato centrale forte, vero direttore d’orchestra.
Ovviamente qui non ci sono vincitori e vinti, semmai leader e follower. L’Italia non deve e non può certo gettare la spugna e sono quindi utili tutti gli appelli che sollecitano più investimenti, più concerto istituzionale e grandi iniziative nazionali nella speranza di poter anche noi diventare una “Startup Nation”.
L’entusiasmo sciocco, però, è inutile quanto il disfattismo. Perché se non si riconoscono limiti e ritardi, non si possono certo superare. L’ottimismo della volontà e il pessimismo della ragione consigliati da un filosofo del secolo scorso restano ancora un ottimo schema per valutare quel che accade nell’ecosistema italiano dell’innovazione. Applicarlo significa innanzitutto distinguere i casi singoli dalle questioni di sistema. Se si guarda solo ai primi, i casi di successo, i role model, i champion non mancano: vanno individuati e orgogliosamente esibiti. A guardare invece il sistema dall’alto la lista dei to do è talmente lunga che servirebbe davvero l’ispirazione di un potente Skywalker.