Startup e fallimento: cosa si deve fare quando una startup innovativa non riesce ad andare avanti ed è costretta a chiudere i battenti? Con due recentissime pronunce, l’Ordinanza n. 21152 del 4 luglio 2022 e l’Ordinanza n. 23980 del 2 agosto 2022 – la Corte di Cassazione, sezioni diverse, si è espressa in tema startup, ed in particolar modo sul tema della fallibilità o meno delle imprese innovative e sui termini.
Come è noto la normativa speciale e specifica dedicata alle startup innovative, ovvero il primo comma dell’articolo 31 del Decreto Legge n. 179/12, prevede che esse non siano sottoponibili alle ordinarie procedure concorsuali e fallimentari ma siano soggette esclusivamente alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento prevista dal capo II della legge 27 gennaio 2012 n. 3. Ciò significa che, in caso di insolvenza, non è possibile dichiarare il fallimento della startup e che l’iniziativa per la liquidazione dei beni è riservata alla medesima startup debitrice.
Questo regime di favore è però limitato nel tempo e solo per il periodo di durata di startup innovativa. Non più di 60 mesi, quindi, così come indicato nell’art. 25 del D.L. n. 179/12 che prevede tra i requisiti costitutivi di startup che si tratti di società costituita da non più di sessanta mesi”, ovvero 5 anni, mentre per le società già “costituite” nei 2, 3 o 4 anni antecedenti la data di entrata in vigore del D.L. sopra citato la norma dispone che possano beneficiare della nuova disciplina, per un periodo rispettivamente di 4, 3 o 2 anni a partire dalla predetta data.
Alla scadenza dei suddetti termini o qualora la startup perda uno dei requisiti costitutivi previsti dalla norma, cessa anche l’applicazione della disciplina di favore.
Diventa quindi molto rilevante individuare due cose: se la società insolvente sia effettivamente una startup innovativa e quindi, abbia reale titolo per godere della disciplina di favore, e quale sia il giorno effettivo dal quale far decorrere i termini suddetti, il cd. dies a quo.
Andiamo con ordine.
Come dimostrare di essere una startup innovativa
Quanto alla prima esigenza, la Corte di Cassazione ha stabilito che non sia sufficiente il controllo operato nel merito dall’Ufficio del Registro delle Camere di Commercio sul possesso o meno dei requisiti di startup innovativa – idonei quindi a giustificare il godimento della disciplina speciale e in deroga alla disciplina ordinaria – ma necessiti che il Giudice, per poter dichiarare l’assoggettabilità o meno della società insolvente al regime fallimentare, effettui la verifica in concreto del possesso dei requisiti di startup innovativa previsti dalla legge.
La Corte di Cassazione, aderendo all’orientamento dottrinale e giurisprudenziale maggioritario, ritiene che l’iscrizione nel Registro delle imprese, Sezione Speciale, rappresenti un presupposto necessario ma non sufficiente a garantire l’applicazione della disciplina agevolativa e quindi l’esonero dalla dichiarazione di fallimento, dovendosi sempre verificare, nella sede giudiziale preposta, l’effettivo possesso e mantenimento dei requisiti richiesti dalla legge. A detta della Corte dunque non basta un mero adempimento formale quale quello del deposito della “Dichiarazione annuale di possesso e mantenimento dei requisiti” ma è opportuno che i suddetti requisiti siano in concreto verificati e dimostrati in sede giudiziaria, stante la rilevanza anche pubblicistica della tematica del fallimento. Secondo la Corte, infatti, una società insolvente sul mercato, che si dimostri priva dei requisiti di startup innovativa, leda – tra gli altri – anche l’interesse pubblico.
Fallimento startup: da quando decorre il termine di non assoggettabilità a procedure fallimentari
Quanto alla seconda esigenza, secondo alcuni operatori dell’ecosistema dell’innovazione il giorno dal quale far decorrere il computo dei 5 anni era da far corrispondere dalla data di iscrizione della startup nell’apposita Sezione Speciale del Registro delle imprese, mentre secondo altri dalla data di costituzione della società.
La Corte di Cassazione, con la seconda pronuncia, quella di agosto, ha stabilito che il termine quinquennale di non assoggettabilità della startup innovativa a procedure concorsuali e fallimentari decorra dalla data di costituzione della società e non dalla data di deposito della domanda e della autocertificazione del legale rappresentante circa il possesso dei requisiti formali e sostanziali, cui consegue l’iscrizione nella Sezione Speciale delle startup innovative presso il Registro delle imprese.
Due pronunce dunque che vanno dritte sul tema del fallimento delle startup. Un tema che in Italia non è soltanto tecnico e giuridico ma anche culturale. Nel nostro Paese il fallimento per tanti, troppi, anni è stato visto come qualcosa di brutto e di gravissimo. Una visione molto diversa da altri Paesi dove fallire vuol dire semplicemente aver avuto una risposta negativa dal mercato e comporta pochi gravami e molta esperienza. Addirittura all’estero gli investitori si fidano maggiormente di un imprenditore che ha già attraversato anche l’esperienza del fallimento. E piace pensare il regime agevolativo che il legislatore ha previsto per le startup innovative sottenda anche l’avvio di un cambio di passo, di un cambio di mentalità sulla visione del fallimento.
La verifica giudiziale in sede prefallimentare del possesso dei requisiti di startup per delimitare l’area di assoggettabilità al fallimento per questa categoria di imprese imporrà ancora maggior rigore nella fase di costituzione e, sono certa, aprirà il dibattito, ancora una volta, fra gli innovatori ed i conservatori.