Nella vita di una startup innovativa, quando l’idea sembra buona ed il team è determinato ad andare sul mercato, arriva un momento in cui c’è necessità di trovare un altro soggetto che, oltre a credere nel progetto, decida di investire danaro. Le startup infatti, si sa, non dispongono della liquidità necessaria e sufficiente per poter sostenere le spese, spesso ingenti, che si rendono necessarie per portare avanti il progetto imprenditoriale che le geniali menti hanno concepito.
Questo è il momento di ricerca e di raccolta del capitare di rischio.
La startup, inizia così a partecipare alle call, ai momenti di matching tra investitori e nuove realtà imprenditoriali, ad ogni attività utile a balzare agli occhi di un investitore, sia esso un Business Angel oppure un Fondo di Investimento oppure un Partner Industriale.
Il delicato rapporto fra investitore e imprenditore
A questo punto si instaura un rapporto, quello tra investitore e imprenditore, notoriamente delicato. Ma perchè? Investitore e startup vogliono entrambi trarre il massimo profitto dal progetto imprenditoriale, ma lo fanno guardando da punti e prospettive differenti.
Spesso i termini di questo rapporto diventano un vero e proprio terreno di battaglia. Inutilmente direi, forse anche perché le startup non sono preparate ad affrontare questo momento nel modo più intelligente possibile.
L’imprenditore mira, infatti, a valutare la propria startup in base al potenziale che essa è può avere nel futuro, mentre l’investitore avrà interesse a valutarla per gli obiettivi raggiunti fino a quel momento e, seppur attratto dal potenziale futuro (altrimenti non investirebbe), è portato a dare meno valore a questo elemento, consapevole che l’incertezza di un nuovo business nel mercato è un parametro tanto vero quanto ineliminabile.
A questo punto, il rapporto tra i due protagonisti per giungere alla buona conclusione dell’affare, va avanti a colpi di atti, ciascuno ben determinato e distinto, nel nome e nel contenuto, che si susseguono come in una partita di carte. Ciascuno svela le sue, pian piano, sino a scoprirle tutte e definire il gioco.
Ma guardiamoli uno ad uno questi atti ed i passaggi da compiere, prima per avviare e poi per concludere, una negoziazione con un investitore. Guardiamone l’aspetto giuridico ed il significato di ciascuno di essi, avendo ben presente che trattasi di istituti non propri del diritto commerciale classico ma di istituti giuridici importati dai paesi anglosassoni e sviluppatesi nella prassi del commercio internazionale.
Startup e investitore: la Letter of Intent e il Term Sheet
Per l’avvio di una negoziazione tra investitore ed imprenditore, gli atti necessari sono la Letter of Intent (LOI) e/o il Term Sheet.
Generalmente sono proposti direttamente dall’investitore, sotto forma di lettera o proposta di investimento e contengono i termini generali del futuro accordo che si vuole stringere.
In questo primo atto, l’investitore, manifesta l’intenzione di procedere all’investimento, sulla base delle informazioni ricevute dalla società e risultanti dal Business Plan. Si indica, quindi, la possibile valutazione della società, la modalità di investimento, il supporto che l’investitore è disposto a fornire per il potenziamento e lo sviluppo del business ed, in generale, si disegna una sintetica traccia della collaborazione che si intende istaurare. Ancora, si delinea sommariamente la governance che la startup assumerà con l’ingresso dell’investitore.
Nell’uso pratico, in questo atto, si inserisce anche la clausola di riservatezza, la quale, è volta a proteggere – nel miglior modo possibile – la segretezza delle informazioni che una parte rivela all’altra, sia di natura progettuale sia di carattere commerciale e finanziario, e la cosiddetta clausola di trattative riservate, volta ad assicurare che le parti non istaurino, dopo la firma di questo atto, trattative con altri soggetti: è il periodo del cd. “no shop” nel quale l’investitore inizia le procedure di due diligence, necessarie per trovare conferma della bontà dell’operazione.
Dal punto di vista giuridico, la Letter of Intent e/o il Term Sheet di solito non hanno natura vincolante poiché, dalla sottoscrizione non scaturiscono veri e propri obblighi contrattuali per le parti, neppure quello di completare l’operazione societaria ivi prevista.
Pertanto, se le parti, generalmente al termine della due diligence, ovvero l’analisi approfondita condotta dall’investitore sui profili di business della startup, decida di non voler proseguire nell’investimento o, dall’altro lato, se la startup, decida di non accettare le proposte dell’investitore, essi possono liberarsi l’un l’altro senza incorrere in alcuna ipotesi di responsabilità, e ciò nonostante nel nostro sistema giuridico, facente parte dei sistemi di civil law, l’eventuale interruzione delle trattative in corso può configurare una violazione dell’obbligo di buona fede nelle fasi precontrattuali.
Pertanto, è sempre bene verificare attentamente il contenuto della LOI e/o del Term Sheet prima di sottoscriverli, tenendo presente che potrebbero – ma non è usuale – esservi configurate ipotesi di responsabilità.
Terminata la fase di avvio della negoziazione, con gli atti tipici sopra descritti, e terminata positivamente la due diligence, ad essa segue, la contrattazione vera è propria.
Startup e investitore: che cos’è il Contratto di Investimento
Il contratto che viene stipulato tra una startup e l’investitore è il cosiddetto Contratto di Investimento.
Il contratto di Investimento, dal profilo tecnico-giuridico molto complesso, è composto da una serie di clausole specifiche che, attribuiscono diritti e obblighi a tutti gli attori del processo, ciascuna di esse, posta a tutela, ora del socio di maggioranza, ora del socio di minoranza e ora dell’investitore. Clausole per la maggior parte importate dai paesi di common law, che hanno dovuto nel tempo trovare un coordinamento con i principi del nostro ordinamento giuridico, necessario per non confliggere con essi. Ed è per questo mix – frutto di un grande lavoro di armonizzazione di due sistemi giuridici così tanto diversi tra loro – che il contratto di investimento ha meritato la definizione di “Contratto Alieno”, coniata dal giurista De Nova.
In questo contratto si disciplinano concretamente tutti gli aspetti dell’investimento, i nuovi assetti della società, la nuova governance e tutte le clausole necessarie a garantire all’investitore la fuoriuscita dalla compagine sociale (cd. exit right).
Le clausole del Contratto di Investimento
Adesso vediamo le più comuni clausole contenute nel Contratto di Investimento
Liquidation Preference
Con questa claausola si stabilisce che, al momento in cui la startup realizza una exit, l’investitore possa rientrare per primo e del 100% dell’investimento fatto, indipendentemente della quota societaria che lo stesso detiene. Questa clausola si applica quando una startup subisce un evento di liquidazione, come ad es. la vendita della società stessa. In buona sostanza, in caso di exit, prima viene ripagato l’investitore dell’intero investimento fatto e, solo dopo, ciò che rimane viene suddiviso tra i soci e l’investitore in base alle quote di partecipazione nella società
Put e Call
L’opzione put attribuisce all’investitore il diritto, ma non l’obbligo, di vendere la propria partecipazione sociale allo scadere di un termine prestabilito o al verificarsi di un determinato evento; l’opzione call, invece, attribuisce all’investitore il diritto di acquisire la partecipazione di una altro socio al verificarsi di un termine o di una condizione precedentemente stabilita nel contratto di investimento.
Governance
Questo paragrafo riguarda tutte quelle clausole che disegnano la nuova governance societaria con l’ingresso dell’investitore, che attribuiscono a quest’ultimo poteri sulle scelte strategiche della società. Ma anche diritti maggiori per i soggetti riconosciuti come Key People. Sono, quindi, necessarie per la gestione della società stessa.
Lock up
Questa clausola vincola l’imprenditore a dedicarsi totalmente alla società finanziata, impedendogli di dirigere la propria attenzione e la propria attività in altra società/progetto concorrente.
Exit
Sono clausole che disegnano le procedure che consentono all’investitore di liquidare la sua quota in un arco temporale definito che, nella prassi, generalmente è di 5 anni.
Earn Out
Clausole che prevedono importi di finanziamento aggiuntivi al finanziamento iniziale in base al raggiungimento di determinati obiettivi. Queste clausole, prevedono, anche le condizioni che devono essere soddisfatte, i criteri di valutazione e le modalità di raggiungimento degli obiettivi prefissati, la durata dell’earn out, la modalità di pagamento delle somme addizionali di finanziamento, il perimetro delle attività della società durante il periodo di earn out.
Tag Along
detta anche clausola di co-vendita (letteralmente “taggare”/“accodarsi”), stabilisce che qualora il socio di maggioranza decida di alienare le proprie quote ad un soggetto terzo, sia attribuito al socio di minoranza il diritto, ma non l’obbligo, di co-vendere le proprie quote societarie al medesimo acquirente ed alle stesse condizioni del socio di maggioranza. Il socio di maggioranza è, quindi, obbligato, a procurare anche per il socio di minoranza l’offerta di acquisto alle medesime condizioni negoziate per se. Il terzo acquirente dovrà, quindi, qualora il socio di minoranza decida di azionare la Tag Along, acquistare la quote sia del socio di maggioranza sia del socio di minoranza.
Questa clausola può comprendere altri livelli di definizione.
a) Drag Along, detta anche clausola di trascinamento (letteralmente “draggare”/ “trascinare”), prevede il diritto, ma non l’obbligo, per il socio di maggioranza di trascinare nella vendita delle proprie quote, ad un terzo acquirente, anche il socio di minoranza. In tal caso, qualora il socio di maggioranza azioni tale diritto, il socio di minoranza non potrà sottrarsi alla vendita e sarà obbligato a prestare il consenso al trasferimento della propria quota, subendo interamente l’operazione negoziale.b) Bring Along, detta anche clausola di trascinamento (letteralmente “portare con se”), in base alla quale l’acquirente ha il diritto, non l’obbligo, di acquistare anche la quota del socio di minoranza e, quindi, di portare con se nella operazione anche quest’ultimo. Questa clausola generalmente rende maggiormente appetibile la quota del socio di maggioranza, poiché il terzo acquirente, azionando tale diritto, può acquistare il 100% della società.
Startup, non impuntatevi sulle clausole. La legge prevede i correttivi
Spesso le startup commettono l’errore di impuntarsi su alcune di queste clausole, riducendo i termini della trattativa alla mera richiesta di toglierne alcune. È questo un grosso errore, che piò inficiare la trattativa e far naufragare la proposta di investimento. La maggior parte di queste clausole sono indispensabili per l’investitore, ed allora è meglio concentrarsi sulla richiesta di inserimento dei cd. correttivi applicabili al fine di rendere queste clausole meno aggressive.
Le startup, sotto questo profilo sono ancora immature, devono migliorare molto la conoscenza di ciò che è possibile negoziare al tavolo della trattativa con l’investitore e ciò che invece è completamente inutile.
Devono sapere che il nostro ordinamento prevede una serie di strumenti correttivi utili a rendere le clausole suddette più a meno aggressive, in base a come essi vengono utilizzati, come ad esempio l’equa valorizzazione della partecipazione, la necessità del consenso unanime per l’introduzione di alcune clausole ecc..
È, quindi, molto più intelligente ed utile per la startup concentrarsi su questi aspetti anziché impuntarsi su richieste impossibili da ottenere.
Arrivare alla felice conclusione di una negoziazione con un investitore è sicuramente il risultato ottimale di un percorso delicato, nel quale certamente hanno grandissima rilevanza l’elemento imprenditoriale, l’elemento manageriale e l’elemento dell’innovazione, ma attenzione perché conta molto, anzi moltissimo la capacità della startup di saper negoziare in modo snello ed intelligente il miglior accordo possibile.