Buone notizie per startup e investitori. La Camera ha approvato l’emendamento al DDL Concorrenza, che conteneva alcune norme pericolose per le nuove imprese e, quindi, anche per chi investe. Si supera, ad esempio, il tema dei 20mila euro di capitale sociale e 1 dipendente che tanto aveva preoccupato e agitato l’ecosistema italiano e, finalmente, si “spingono” i fondi pensioni a investire sull’asset class venture capital.
Adesso si può parlare di Startup Act 2.0, cioè di un aggiornamento del quadro normativo definito nel 2012.
Il maxi emendamento, proposto dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MiMIT), introduce una serie di cambiamenti mirati a rafforzare l’ecosistema dell’innovazione e a stimolare gli investimenti nel venture capital, un settore cruciale per la crescita economica del Paese (qui si può leggere il testo originale).
“Si conclude il percorso iniziato durante l’evento organizzato da InnovUp per i 10 anni dello Startup Act e dell’Associazione, in cui avevamo chiesto a gran voce una revisione complessiva della normativa”, si legge in una nota dell’Associazione che rappresenta l’ecosistema italiano dell’innovazione Un percorso che, alla fine, recepisce molte delle nostre proposte e rinnova veramente il framework legislativo per il settore avvicinandolo alle best practices europee”.
Che cosa cambia per le startup
Uno dei cambiamenti più rilevanti riguarda la definizione e il ruolo delle startup innovative, che ora saranno maggiormente differenziate dalle PMI innovative. Le startup non potranno più svolgere attività di agenzia e consulenza, una misura che mira a focalizzare le loro risorse e competenze su attività ad alto contenuto tecnologico e innovativo.
Questo cambiamento è visto come un passo necessario per garantire che le startup rimangano agili e concentrate sulla ricerca e sviluppo, piuttosto che disperdersi in attività collaterali.
Inoltre, la permanenza nel registro delle startup è stata estesa da cinque a nove anni, con l’introduzione di requisiti di validazione intermedi che garantiranno la continua innovazione e crescita.
Questa estensione offre alle startup un arco temporale più lungo per consolidarsi e sviluppare prodotti e servizi competitivi sul mercato internazionale.
Al contempo, l’eliminazione del requisito di un capitale sociale minimo di 20.000 euro, sostituito da criteri più flessibili, permette alle startup di adattarsi meglio alle dinamiche di mercato e di attrarre investimenti in modo più efficace.
Che cosa cambia per gli investitori
Per gli investitori, il nuovo DDL Concorrenza introduce incentivi fiscali che mirano a ridurre il rischio e a stimolare gli investimenti nelle fasi iniziali delle startup. Gli investitori privati potranno beneficiare di una detrazione fiscale incrementata al 65% per i finanziamenti erogati nei primi tre anni di vita delle startup.
Questa misura non solo riduce il rischio finanziario associato agli investimenti in startup, ma rende anche il venture capital un’opzione più attraente per gli investitori che cercano di diversificare i loro portafogli.
In caso di fallimento della startup, la detrazione fiscale non andrà persa, una clausola che offre una protezione aggiuntiva e incoraggia un maggiore flusso di capitale verso le nuove imprese.
Le istituzioni finanziarie e gli investitori professionali vedono con favore questi sviluppi, riconoscendo il potenziale del venture capital come una classe di attivi altamente profittevole, capace di offrire ritorni significativi nel medio-lungo termine.
Gli incentivi ai fondi pensione verso il venture capital
Una delle novità più importanti contenute nel DDL è l’incentivazione dei fondi pensione italiani a destinare fino all’1% del loro attivo patrimoniale in venture capital. Questa misura è considerata cruciale per sbloccare nuove risorse finanziarie e stimolare la creazione di imprese tecnologiche in Italia. I fondi pensione, tradizionalmente avversi al rischio, sono ora incoraggiati a partecipare attivamente al finanziamento dell’innovazione, contribuendo così a ridurre la dipendenza del settore dalle sole risorse pubbliche e private.
Inoltre, gli investitori istituzionali saranno chiamati a destinare una quota crescente dei loro investimenti qualificati al venture capital, con obiettivi ben definiti: il 5% entro il 2025 e il 10% negli anni successivi.
Startup Act 2.0, le reazioni
Questa iniziativa non solo aumenterà il capitale disponibile per le startup, ma contribuirà anche a creare un ambiente più competitivo e dinamico per l’innovazione in Italia
“Altre misure potranno essere introdotte nel prossimo futuro affinché l’Italia riprenda il posto che le spetta tra le grandi economie occidentali, anche in settori tech in cui abbiamo difettato di capitale di rischio, ma mai di capitale uma”, anticipa Massimo Milani, deputato di Fratelli d’Italia tra i firmatari dell’emendamento, che parla di svolta storica per le startup, soprattutto per quanto riguardo l’intervento dei fondi pensioni. “Questa azione è la più rilevante di tutto il pacchetto di norme, perché sblocca risorse verso la creazione di nuove imprese tecnologiche che creano posti di lavoro di qualità, ponendo le basi per frenare la fuga di talenti ed iniziare a farne rientrare dall’estero. Inoltre, l’incentivo è nell’interesse dei pensionati stessi in quanto la tradizionale prudenza dei fondi pensione è tutta culturale, ma infondata: il Venture Capital, percepito come rischioso, è l’asset class più profittevole tra tutti gli alternativi. Certo, bisogna saperlo fare, ma con questa misura attireremo anche molti gestori specializzati da altre nazioni”
E Marco Gay, presidente Esecutivo di Zest, ha sottolinea che “il rafforzamento dell’industria del venture capital e il sostegno alle startup è la direzione giusta da seguire per accelerare il processo di innovazione e sviluppo economico dell’Italia”. Gay ha evidenziato come le nuove misure possano fungere da catalizzatore per attrarre talenti e capitali internazionali, posizionando l’Italia come un hub di innovazione all’avanguardia in Europa.