Nel mio primo anno come Managing Director di Endeavor Italia, ho potuto osservare l’ecosistema italiano da un osservatorio privilegiato, cioè quello di un network internazionale che supporta le imprese ad alta crescita in più di 40 paesi e che, nel farlo, riunisce talenti ed eccellenze di tutto il mondo.
Comincio questa riflessione da una constatazione positiva: il nostro ecosistema sta finalmente maturando. In Italia abbiamo aziende solide, costruite da giovani imprenditori bravissimi, e ci sono sempre più casi di eccellenza che ci aiutano ad esercitare una nuova forza attrattiva all’estero, sia per quanto riguarda il talento che gli investimenti. Nuovi fondi internazionali stanno aprendo in Italia, o dedicano personale al mercato italiano dalle loro sedi di Londra, Parigi e simili hubs. Siamo in una fase di globalizzazione del mercato dei capitali, in parte anche in conseguenza della pandemia, e l’Europa da questo punto di vista gode di un momento favorevole.
Sono tutte buone notizie. Eppure, per continuare a fare i passi in avanti necessari a portare il nostro ecosistema ad un punto di svolta, credo ci siano dei macro-temi sui quali è necessario lavorare in fretta per non rischiare di perdere quest’onda.
Nonostante la burocrazia italiana non faciliti ancora gli investitori stranieri, in generale fondare un’azienda in Italia non è più un limite in sé. Ci sono più possibilità e competenze per far uscire un’azienda dai nostri confini, rispetto ad alcuni anni fa.
Quello che però è indispensabile acquisire è l’ambizione, che si traduce in uno sguardo internazionale. Dobbiamo liberarci dall’idea dell’azienda italiana che nasce e cresce in Italia per mano di un imprenditore italiano, guardare oltre il modello della PMI tradizionale.
I capitali ci sono, ma servono i giusti imprenditori con il giusto tipo di ambizione, perché chi investe, investe in una vision. In questo Endeavor fornisce ai suoi imprenditori una finestra sul mondo con un network di oltre 2000 aziende e 4,000 professionisti tra mentor, c-level ed investitori.
Va creata una cultura che stimoli ambizioni maggiori. Per farlo bisogna però partire dalle basi come prepararsi ad un progetto internazionale integrando l’inglese nell’operatività quotidiana, avere una vera diversity (genere, nazionalità, background) e raccogliere capitali in linea con lo sviluppo e piano aziendale.
C’è molto fermento tra acceleratori, incubatori, venture capital, family office, club deal, etc, ma vale la pena ricordare che non tutti questi canali sono uguali ed hanno dinamiche diverse. Il venture capital come asset class, ha recentemente avuto un’impennata, ma necessita di produrre ritorni sopra la media per renderlo sostenibile. Le aziende devono avere quindi dei progetti di una dimensione capace di generali, altrimenti è più prudente cercare altre tipologie di finanziamento.
Ci vogliono consapevolezza e pazienza. Anche in questo l’esempio è fondamentale, perché casi come Casavo, Satispay, ShopFully, Bending Spoon, – per citare solo alcune delle aziende Endeavor – dimostrano che è possibile partire dall’Italia, ma costruire un progetto internazionale che coinvolga dipendenti ed investitori esteri.
L’Italia pur essendo un mercato maturo sotto molti aspetti, presenta ancora i tratti di un paese emergente per quanto riguarda lo sviluppo di start-up, scale-up ed il mondo dell’innovazione più in generale. La Spagna per citare un paese simile a noi e già qualche anno più avanti, ma anche paesi nel sudest asiatico ed in africa, stanno accelerando in maniera esponenziale. Dobbiamo fare il possibile al fine che la legacy di cui andiamo così orgogliosi non diventi un freno.
Io sono positivo: anche noi arriveremo ad un punto di svolta, ma dobbiamo lavorare con maggior qualità, senza paura di lasciare strade vecchie per intraprenderne di nuove. Per questo vogliamo che nel network di Endeavor entrino imprenditori e mentor di livello sempre più alto, vogliamo innescare meccaniche sempre più virtuose, che abbiano ricadute positive su tutto l’ecosistema.