“Ho scelto di affidarmi a Soundreef per la raccolta dei miei diritti d’autore perché voglio sostenere chi è trasparente e fa della meritocrazia un valore fondante”: con queste parole il noto rapper milanese Fedez ha lasciato la Siae per una giovane startup italiana, ma nata e “residente” a Londra: Soundreef, appunto. È ancora presto per capire se l’annuncio abbia dato il là a una rivoluzione epocale, ma di certo ha suscitato un enorme interesse nel mondo della musica. Artisti su piazza da molto tempo come Raffaella Carrà, Elio e le Storie Tese e Ligabue hanno promesso che si informeranno sul funzionamento di Soundreef, perché “il cambiamento e la concorrenza fanno benissimo, perché danno la carica e fanno muovere”. Ma anche giovani cantanti come Rocco Hunt sembrano già pronti a fare il grande salto: “Se lo fa Fedez, che ha un valore in questo momento, può essere un’ottima scelta. Mi voglio informare pure io perché se conviene passiamo tutti dall’altro lato. È chiaro che con la Siae nessuno ha la percezione reale di quello che succede al proprio diritto d’autore”.
Già, è proprio questo il punto: cosa cambia fra Siae e Soundreef? Economyup lo ha chiesto ad Adriano Bono, cantante romano che vanta una carriera pluriennale prima come frontman delle Radici nel Cemento e poi come solista: “Sono iscritto a Soundreef dall’inizio del 2015, ma avrei voluto farlo prima. Ci ho messo un po’ per motivi tecnici e burocratici”. La storia di Bono e quella di Soundreef viaggiano insieme praticamente dagli albori: “Io mi sono sempre interessato a temi come il diritto d’autore e i creative commons e così mi sono imbattuto in Soundreef. Mi hanno chiesto di entrare nei primi 30 nomi che avrebbero diffuso per il lancio sul mercato e io mi sono iscritto”. Da quel momento sono cominciati i paragoni con il passato: “Per 20 anni sono stato autore Siae e in un certo senso lo sono ancora, perché con loro ho uno storico importante e non mi sono cancellato, ma ho chiesto e ottenuto una limitazione di mandato. In pratica i diritti d’autore sui miei live li gestisce Soundreef, tutto il resto la Siae. Ma comunque – continua Bono – presto Soundreef potrà gestire tutto e io completerò il passaggio”. Da queste parole si potrebbe dedurre che in effetti l’iscrizione a Soundreef può convenire di più a chi sta iniziando la carriera, invece che a coloro che hanno già diversi anni di lavoro alle spalle, quindi un sostanzioso passato di contributi versati e e diritti riscossi alla/dalla Siae. Ma naturalmente è tutto da vedere e valutare caso per caso. Quanto agli accordi tra Fedez e la Siae, non sono stati resi noti i dettagli dell’accordo, valutabili solo dietro presa visione del contratto.
I paragoni, dicevamo: “Ci sono due o tre secoli di differenza, con la Siae ferma al 1800 e Soundreef proiettata al futuro. Già al momento dell’iscrizione, che con Soundreef è gratuita e non esclusiva, mentre quando ti iscrivi alla Siae paghi e devi affidare i diritti anche sulle opere che andrai a comporre in futuro. Senza contare che molti degli associati Siae alla fine percepiscono meno di quanto hanno pagato per la quota associativa”. Perché poi, il vero nodo sono i ricavi e il modo in cui vengono gestiti: “La Siae garantisce all’autore il 70% degli incassi di un live. Il problema è che me li versano dopo un anno e con un conteggio talmente complicato che non mi fa mai essere sicuro che la cifra equivalga effettivamente a quanto mi devono. Non solo – aggiunge Bono – c’è poi il problema della ripartizione: in Siae gran parte dei live vanno sotto la categoria “concertini” i cui proventi finiscono in un gran calderone per essere ripartiti fra tutti gli iscritti. Le fette di questa torta però sono sbilanciate verso i nomi più famosi, cioè quelli che vendono e fanno guadagnare di più. Quello che rimane viene distribuito fra gli autori minori, spesso i più giovani ed emergenti, che così non vedono mai il frutto del loro lavoro. Con Soundreef invece il sistema è analitico: ricevo di diritti d’autore in base a quanto ho guadagnato con la mia attività: se faccio un concerto mi aspetta la mia percentuale – il 75% – sulla base di quante canzoni ho suonato, dopo una settimana mi mandano il resoconto e ogni tre mesi mi pagano. E vale così per tutti”.
Un altro importante cambiamento riguarda la trasparenza: “Al momento dell’iscrizione ogni artista crea un account da dove può gestire e controllare i suoi diritti – spiega Federico Jolki Palki, musicista che non solo è iscritto a Soundreef, ma ne cura anche la comunicazione – Online io posso vedere lo storico dei concerti, le canzoni che ho suonato e quanti diritti ho maturato. Poi si procede al pagamento tramite Paypal”. Un’organizzazione sul web che riscuote pareri positivi sia da parte degli autori che degli organizzatori dei live: “Sempre utilizzando il mio account, io posso inserire le date dei concerti e la mail dell’organizzatore. Soundreef lo contatta e gli spiega come fare la licenza online, anche con scalette precompilate. E il gioco è fatto” continua Palki.
Tutto questo nasce da una direttiva europea, la direttiva Barnier del 2014, che ha aperto il mercato dei diritti d’autore nell’Unione Europea. Una direttiva vincolante che ha scatenato un lungo dibattito nei parlamenti dei Paesi membri, tanto che quello italiano sta discutendo il tema dei diritti d’autore solo in questo ultimo periodo “ma Soundreef non è nata in Inghilterra solo per questo. È successo perché io vivo a Londra da quando avevo 19 anni e ho creato qua entrambe le mie aziende” racconta Davide D’Atri, fondatore e amministratore di Soundreef. “Abbiamo scommesso sulla trasparenza e la semplificazione, con un sistema di calcolo dei pagamenti totalmente analitico, velocità nel trasferimento dei soldi e gestione online del tutto. – spiega D’Atri – Questa startup è il frutto di un lungo studio di mercato. Io ho una formazione economica e ho lavorato anche per l’antitrust europea, ma ho sempre frequentato l’industria musicale. Dopo 10 anni di studi e osservazioni abbiamo aperto Soundreef con un team selezionato e la capacità di attrarre capitali. Abbiamo iniziato che eravamo piccoli – spiega D’Atri – ma dopo solo quattro settimane avevamo già attratto investimenti per 700.00 euro che nel 2011 sono diventati tre milioni e mezzo. No, il nostro business non è partito da un garage, ci abbiamo messo del tempo”.