Sembravano morti, invece sono stati resuscitati, almeno a parole, dal presidente esecutivo in persona. I Google Glass, ha detto ieri Eric Schmidt, l’uomo al timone del colosso californiano, non sono affatto un capitolo chiuso o abbandonato. L’intenzione dell’azienda, ha dichiarato al Wall Street Journal, è di andare avanti sul dispositivo wearable: è un progetto “che richiede tempo” ma non per questo può essere considerato “una delusione”.
La delusione, tuttavia è stata palpabile quando, a gennaio scorso, Google ha deciso di sospendere la vendita dei suoi occhiali hi-tech e trasferito il progetto dal laboratorio di ricerca Google X, che ci lavorava da prima del debutto ufficiale nel 2012, a un’unità a parte sotto la guida di Tony Fadell, uno dei padri dell’iPod di Apple.
La manovra è stata letta dagli osservatori come risposta alle difficoltà incontrate dal device, poco apprezzato per il design, criticato da più parti come minaccia alla privacy e abbandonato da molti dei primi entusiasti che lo avevano adottato.
Da subito però BigG ha fatto capire che non voleva abbandonare il progetto tout court, ma solo spingere su una seconda versione dei Google Glass. Sarà una versione consumer pensata per utenti comuni, eventualmente migliorata rispetto alla versione attuale, o un potenziamento della strada B2B che BigG ha già intrapreso con discreto successo? I Google Glass erano stati messi a disposizione degli sviluppatori nel 2013 col programma Explorer al costo di 1500 dollari. Poi sono stati venduti al grande pubblico negli Usa, per un numero limitato di pezzi, e in seguito in Uk. Ma a gennaio sono state appunto sospese le vendite. L’ambito in cui si sono dimostrati validi e richiesti è soprattutto quello enterprise: difesa, sanità e altri comparti. Hanno fatto notizia le operazioni chirurgiche eseguite con i Google Glass, molto meno le persone comuni che si sono ritrovate a indossarli.
Google, insomma, ma anche altre aziende come Epson che da tempo sta lavorando per la promozione di questo tipo di wearable, sembrano trovarsi a un bivio: consumatori o aziende? Anche i player italiani del settore si interrogano sulla questione e anche tra loro emergono vedute diverse, se non opposte. “Per noi è una conferma che la nostra visione era giusta: i Google Glass, e gli smart glass in genere, sono dispositivi adatti a funzionare come strumenti di lavoro per le grandi imprese” dice a EconomyUp Pietro Carratù, Ceo di Youbiquo, società di Cava de’ Tirreni (Salerno) impegnata nella realizzazione di occhiali a realtà aumentata assimilabili a “computer indossabili” e prevalentemente destinati al mercato enterprise. Carratù, la cui società ha ottenuto finanziamenti grazie al primo bando di Smart & Start per startup innovative, è convinto che il futuro degli occhiali iper-tecnologici sia soprattutto in ambito industriale. “Nei giorni scorsi – rivela – un’azienda leader nella manutenzione degli aeroporti ci ha chiesto di poter sperimentare i nostri dispositivi insieme a quelli di altre aziende, ma siamo gli unici italiani. Una delle tante conferme che la strada da percorrere per gli smart glass, anche e soprattutto in Italia, è il B2B”.
Di tutt’altro parere Francesco Giartosio, Ceo di GlassUp, società italiana che lavora da tempo a un prototipo di smart glass e che ha anche avuto problemi con Google per il nome scelto per il prodotto, non gradito al competitor americano. “Scegliere il mercato enteprise? Noi andiamo in controtendenza e puntiamo sul consumer, con un prodotto adatto alle reali esigenze dei consumatori” dice l’imprenditore a EconomyUp.
“Google – osserva – sta in realtà procedendo lungo due direttive: intende continuare a servire le imprese e il settore sanitario con un prodotto come quello attuale, ma non è morta la versione uno, quella pensata per i consumatori. Vero è che una versione 2 richiederà un cambiamento importante e più tempo, come ha detto Schmidt”.
“Dal nostro punto di vista – prosegue Giartosio – mi fa piacere che siano più concentrati sul settore industriale perché noi invece guardiamo al consumer. Siamo in controtendenza rispetto a tutti. Non è solo Google in questo momento ad andare verso il B2B ma anche la maggior parte dei nostri competitor. Solo di Sony non si capisce la strategia”.
Ma se quasi tutti hanno virato la rotta, perché andare ostinatamente controcorrente? “Il mercato consumer – spiega il Ceo – ha esigenze molto diverse da quello enterprise: richiede un gradevole aspetto estetico, nessun cavo, un prezzo basso del prodotto e una lunga durata della batteria. Secondo noi il mercato consumer non è affatto disinteressato agli smart glass, ma pretende precisi requisiti. Che noi saremo in grado di dare”. Giartosio assicura che il prodotto a cui la società sta lavorando sarà proprio così, “meno performante e più semplificato”. Terminata la fase di ricerca, GlassUp sta lavorando all’industrializzazione, sta completando la progettazione degli ultimi dettagli e tra un paio di mesi dovrebbe tirare fuori il primo pre-prototipo. Rigorosamente consumer, nonostante Google.