“L’editoria digitale sta prendendo due strade: da un parte c’è il libro cartaceo che esiste e continuerà ad esistere ma si arricchirà di contenuti tecnologici, dall’altra ‘cose’ che non si chiamano più libri ma prodotti editoriali, nati direttamente dalla tecnologia digitale. Tutti, per il momento, convivono. Il problema semmai è che la maggior parte degli editori tradizionali sta alla finestra in attesa di capire quali nuovi modelli di business ne deriveranno”. A sostenerlo è Stefano Saladino, presidente dell’Associazione Luoghi di Relazione, ideatrice ed organizzatrice del Digital Festival, che quest’anno ha collaborato con il Salone del Libro (in programma al Lingotto di Torino dall’8 al 12 maggio) nella realizzazione dell’area Start Up in Book to the future. Uno spazio di 150 mq interamente dedicato a dieci startup, selezionate attraverso un bando internazionale per la loro offerta di contenuti innovativi relativi ai prodotti editoriali. Si va da 20lines, piattaforma per il social reading, alla lituana Bliu Bliu, per l’apprendimento delle lingue straniere. Ci sono poi le torinesi J-Lab (e-book per bambini), Maieutica Labs (apprendimento online) e Pubcoder (software per realizzare e-book). La svizzera Newscron ha realizzato un aggregatore di contenuti, mentre Spam di Milano produce una rivista a realtà aumentata. Timbuktu fa prodotti digitali innovativi per bambini, Two Reads di Venezia è specializzata in ricerca bibliografica intelligente e Xoonia di Milano realizza software interattivi (qui la descrizione dettagliata delle startup). “I dieci vincitori – spiega Saladino – operano principalmente in tre campi: editoria per bambini, realtà aumentata, aggregazione di contenuti. Sono in maggioranza italiani, anche se la call era internazionale, probabilmente perché, essendo una prima esperienza, non siamo riusciti a comunicarla al meglio all’estero. Hanno tutti meno di 3 anni di vita come startup e rappresentano le principali tendenze nel mondo dell’editoria digitale”.
Qual è il minimo comun denominatore?
L’arricchimento dei contenuti. La fruizione digitale favorisce l’integrazione di nuovi modi di arricchimento dello strumento cartaceo. Si passa in pratica da uno strumento cartaceo statico a un altro che interagisce con lo statico riempiendolo di contributi di altri utenti. A questo punto il contenuto editoriale diventa il punto di partenza per raggruppare contenuti altrui. La fruizione del prodotto editoriale, insomma, non è più passiva, come quando qualcuno legge un libro, ma si trasforma in ascolto attivo. È una trasformazione dettato da una parte dalla tecnologia, che consente di corredare un prodotto di contenuti multimediali, dall’altra dai contenuti forniti dai fruitori. Di fatto è la traduzione di abitudini consolidate di partecipazione attiva degli utenti in altri canali, ad esempio sui social netowrk. Anzi, si va oltre: la partecipazione non è più solo in termini di buzz, di commento, ma diventa condivisione partecipata di un progetto editoriale.
Esempi pratici?
In generale il campo di applicazione oggi è nella didattica scolastica. Intorno all’editoria digitale si forma l’aula, il gruppo, la classe. Si possono condividere i commenti sui testi o le indicazioni del docente, si può fruire qualcosa insieme agli altri e da remoto. La scuola può sembrare arretrata in questo campo, e per molti versi ancora lo è, eppure è il settore che sta traendo maggiori vantaggi dall’editoria digitale. Del resto ha un’utenza più avvezza all’uso del digitale perché gli studenti sono tutti nativi digitali. La scuola è insomma uno dei campi più significativi di sperimentazione del digitale nel settore editoriale. Poi c’è almeno un altro campo. Partendo da questi presupposti il confine tra editoria e multimedialità diventa sempre più labile: il libro non è più un libro, né un’animazione e nemmeno un filmato. È una nuova esperienza di fruizione dei contenuti, una nuova forma di editoria. Un esempio? L’editoria per bambini. L’uso della realtà aumentata, tramite l’utilizzo di uno smartphone o di un tablet, mi consente di prendere il libro di carta e “vedervi” oggetti animati, o leggervi risorse aggiuntive online, o praticare giochi interattivi. Un’ esperienza mista tra digitale e analogico. Poi c’è l’esperienza tecnologica tout court.
In cosa consiste?
La creazione di prodotti del tutto nuovi, che non partono dalla conversione di uno strumento cartaceo tradizionale in strumento digitale, ma dall’asset tecnologico. Partendo dai nuovi metodi di fruizione e dai nuovi device è possibile costruire un nuovo prodotto puramente digitale, un mix tra contenuti editoriali, video e interazione umana. È un’esperienza verticale. Chiamarlo ancora libro sarà difficile. È più che altro un prodotto editoriale complesso e multimediale.
Ma quindi il libro come lo intendiamo oggi morirà?
Il libro esiste e continuerà ad esistere. Anzi, in questo momento storico se ne stanno producendo più che in passato. Ma può vivere di natura propria. Si può usare come volume che resta sul comodino e di cui leggiamo qualche pagina prima di andare a dormire, ma può anche vivere di arricchimento e di trasformazioni varie: sono ‘strati’ tecnologici che si aggiungono.
Quanto le case editrici tradizionali sono in grado di comprendere questa evoluzione?
Cominciano a comprenderla. È il motivo per cui abbiamo realizzato il progetto Start Up in Book to the future nell’ambito del Salone del Libro di Torino: volevamo sensibilizzare gli espositori alle nuove sfide. L’anno scorso avevamo uno stand. Ma è chiaro che ormai siamo oltre l’e-book e serve un nuovo approccio. È il primo anno di questa iniziativa, che contiamo di sviluppare in futuro.
E il mercato è pronto all’innovazione?
Il mercato dei fruitori è tendenzialmente pronto, il mercato della produzione si sta barcamenando e sta cercando di capire quali saranno i modelli economici. La rivoluzione tecnologica porta necessariamente a una rivoluzione dei modelli produttivi: le resistenze derivano proprio da qui, dalle domande e dai dubbi sulla creazione di nuovi modelli economici sostenibili.
Allora non è vero, come dice qualcuno, che nell’editoria tradizionale non ci sono competenze a sufficienza per capire l’innovazione?
Non si può negare che chi amministra le imprese è spesso indietro sulla cultura del digitale. Il tessuto è questo, lo sappiamo. Ma le competenze ci sono e, se gli editori vedessero concrete opportunità di business, sono certo che assumerebbero manager funzionali all’evoluzione. In realtà stanno alla finestra in attesa di vedere quello che succede. E in un certo senso è una giusta attesa. Si muovono prima i più piccoli, perché hanno meno da perdere, mentre i grandi editori fanno più fatica ad abbandonare i modelli tradizionali dai quali ricavano ancora margini di guadagno, sia pure ridotti rispetto al passato, per intraprendere nuove strade. Certamente dovrebbero avere un maggiore approccio all’innovazione. Più che altro manca la parte di ricerca e sviluppo, che è quella funzionale alla sperimentazione.