Ben vengano le regole sulla sharing economy in Italia, ma che siano chiare, semplici e facciano distinzione tra chi opera a livello professionale e chi no. È l’auspicio di alcuni dei principali operatori dell’economia della condivisione che si sono ritrovati oggi a un incontro su questi temi all’Edison Innovation Week a Milano.
La sharing economy è ritenuta a tutt’oggi un fenomeno dalle molteplici anime e dai contorni non ancora ben definiti. Anche per questo motivo si sono sviluppate una varietà di definizioni parallele e/o sottodefinizioni: da peer-to-peer economy a economia collaborativa o consumo collaborativo, da gig economy o economia dei lavoretti fino a servizi on-demand.
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Tuttavia, quasi ogni volta che si parla di sharing economy, emergono più o meno gli stessi nomi di aziende attive nell’area. Tra questi AirBnb, il portale che mette in contatto persone in cerca di un alloggio o una camera per brevi periodi con persone che dispongono uno spazio extra da affittare, generalmente privati (modello di business che gli esperti preferiscono definire rental economy); Uber, azienda con sede a San Francisco che fornisce un’applicazione per chiamare e noleggiare da smartphone un’auto con conducente (preferibilmente catalogata tra i servizi on demand): e BlaBlaCar, la community di carpooling che consente di offrire o ricevere passaggi in auto tra privati dietro rimborso spese (realtà che si avvicina più delle altre al concetto ‘puro’ di sharing economy).
Proprio questi tre player – o meglio, i rappresentanti per l’Italia di Uber, BlaBlaCar e AirBnb– insieme alla sociologa Ivana Pais, hanno avuto modo oggi di fare il punto sulla loro presenza nel nostro Paese ed esprimere la loro opinione su quanto si sta muovendo sul fronte della regolamentazione. È infatti partito a inizio maggio l’iter legislativo della proposta di legge sulla Sharing economy messa a punto dall’Intergruppo parlamentare per l’innovazione.
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In futuro potrebbero arrivare anche le regole per disciplinare Uber nel nostro Paese. Il 24 maggio è stato presentato in Commissione Industria del Senato un emendamento al ddl Concorrenza che in pratica impone al governo di varare un decreto legislativo per la “revisione della disciplina in materia di servizi pubblici non di linea”.
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Ma cosa ne pensano i diretti interessati? “Ben venga la regolamentazione sulla sharing economy.
Ricordiamoci però che è necessario distinguere tra chi offre servizi per integrare il reddito e chi lo fa come attività professionale. Ed è fondamentale che sia una regolamentazione chiara e semplice” dice Alessandro Tommasi, Public Policy Manager di Airbnb Italia. Il riferimento è alla proposta di legge attualmente all’esame del parlamento che riguarderà in particolare proprio AirBnb e altre realtà analoghe (mentre Uber è esclusa). Tra i suoi punti principali c’è la questione fiscale. L’obiettivo è differenziare chi offre servizi per integrare il reddito da chi lo fa come attività professionale. La soglia che funzionerà da discrimine è 10.000 euro l’anno: al di sotto verrà applicata una tassazione del 10%, al di sopra i redditi “saranno cumulati con quelli da lavoro dipendente o autonomo e ad essi verrà applicata l’aliquota corrispondente”. Naturalmente bisognerà capire se e come l’impianto della proposta verrà modificato in corso d’opera. Intanto il colosso degli affitti temporanei approva e vigila.
Anche Uber saluta con favore l’introduzione di regole per il settore nel quale opera, quello della mobilità urbana. “Auspichiamo un passaggio regolatorio” dice Carlo Tursi, General Manager di Uber Italia. “In questo Paese – ricorda – abbiamo un problema aperto di regolamentazione dei servizi di noleggio con conducente (Ncc). Inoltre il nostro UberPop, applicazione che consentiva scambi di passaggi in auto tra privati cittadini, è stata sospesa a maggio 2015 dal Tribunale di Milano per ‘concorrenza sleale’ nei confronti dei tassisti. Le prossime tappe giudiziarie sono previste tra fine giugno e inizio luglio. Ci auguriamo di poter offrire di nuovo questa app agli italiani”. Quanto alle accuse rivolte a Uber di offrire agli autisti un lavoro soltanto occasionale, Tursi replica: “Quasi 1,5 milioni di persone nel mondo sono driver di Uber e la maggior parte di loro ha scelto la flessibilità lavorativa perché fa altro nella vita, perciò lavora per propria scelta meno di 10 ore a settimana”.
Ivana Pais, docente di Sociologia alla Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano, ribadisce la
necessità di stabilire regole per il variegato mondo della sharing economy. “È positivo e interessante sperimentare una forma di regolazione che metta dei paletti e provi a fare dei distinguo tra i diversi modelli di sharing. E non è un male in sé che questi player offrano a volte lavori occasionali”.
Un altro elemento emerso dal dibattito è la crescente affermazione dell’economia della condivisione nel nostro Paese: non più qualcosa di elitario, perché riservato solo a innovatori o appassionati di digitale, ma un fenomeno che, a breve, potrebbe diventare di massa.
“L’Italia è il terzo Paese al mondo ad utilizzare AirBnb, preceduto solamente da Stati Uniti e Francia” ha ricordato Alessandro Tommasi. “Del resto due italiani su tre hanno una casa di proprietà e molte abitazioni sono inutilizzate. Ci chiedono spesso se siamo sharing economy o rental economy. Io dico che la sharing economy ha una base commerciale, ma le sue premesse risiedono nel rapporto umano. Esiste una naturale diffidenza a confrontarsi con estranei, le relazioni instaurate attraverso AirBnb si basano invece sulla fiducia reciproca. L’età media degli host è 43 anni, di chi viaggia 33, quindi c’è anche uno scambio generazionale. Inoltre garantisce possibilità notevoli a livello economico”.
Anche BlaBlaCar è soddisfatta dell’accoglienza avuta in Italia. “Siamo arrivati 4 anni fa – ricorda Andrea Saviane, Country Manager di BlaBlaCar Italia – all’inizio con una piattaforma semplice e senza pagamenti online, perché sapevamo che gli italiani non avevano ancora eccessiva dimestichezza con questo tipo di operazioni. Siamo stati accompagnati dai classici ‘In Italia non funzionerà mai’. Invece il tasso di adozione è stato più elevato di quello registrato in Francia e in Spagna. Ora posso dire che qui abbiamo una community tra le più forti al mondo. Abbiamo naturalmente anche attivato i pagamenti online, un buon segno per l’innovazione nel Paese”.
E Uber è sharing economy o no? “Non nasce come sharing economy – ammette Carlo Tursi – ma da due giovani che una notte, a Parigi, non sono riusciti a trovare un taxi per tornare in albergo. L’idea era quindi quella di rispondere alla necessità di nuove soluzioni di mobilità urbana. All’inizio attraverso l’app si richiedeva una limo-car, un servizio di lusso. Col tempo Uber è diventata sempre più sharing economy: prima con UberX, in Europa chiamata UberPop, poi con UberPool, che consente al passaggero di intercettare altre persone che fanno il suo stesso percorso sull’auto noleggiata per poi dividere le spese”. Quanto all’immediato futuro, Tursi dice: “In Italia vogliamo diventare sempre meno elitari. Puntiamo ad offrire servizi sempre più sicuri e affidabili, ma anche sempre più accessibili ed economici. Ci dovranno però essere d’aiuto i passaggi regolatori”.