Innovazione sociale

Selene Biffi, cambiare Kabul cantando storie

La giovane start upper ha fondato una scuola basata sullo story telling e ci spiega come fare innovazione sociale in un contesto di emergenza: “creando posti di lavoro e promuovendo il patrimonio locale”. Così ha vinto il premio Rolex e ha conquistato la fiducia di Renzo Rosso

Pubblicato il 01 Lug 2013

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Selene Biffi ha fondato a Kabul The Qessa Academy, la prima scuola al mondo per cantastorie (Rolex Awards / Reto Albertalli)

Da piccola leggeva National Geographic. “Mio padre lo comprava sempre. E a me piaceva leggere le storie dei vincitori del premio Rolex”. Mai avrebbe pensato che a finire su quelle pagine sarebbe stata proprio lei. Non solo si è aggiudicata il Premio Rolex della sezione giovani ma la sua iniziativa imprenditoriale è stata ritenuta fra le cinque più interessanti presentate dai giovani di tutto il mondo. Del resto, Selene Biffi,31 anni, laurea alla Bocconi e specializzazione in Francia, Dublino e Harvard, è una che di cose ne ha fatte parecchie: ha lanciato la sua prima start up a 22 anni con un fondo di soli 150 euro, ha collaborato con l’Onu per un progetto che l’ha portata a Kabul, ha fondato Plain Ink, start up che si occupa della creazione di fumetti e storie interattive in Italia e nei Paesi in via di sviluppo e ora si trova in Afghanistan dove ha creato The Qessa Academy, la prima scuola al mondo per cantastorie.

Non a caso lei punta tutto sulle novità: “Se un’idea è già stata sviluppata da altri io non la faccio. Preferisco muovermi su percorsi nuovi” dice. E ama definirsi imprenditrice sociale: “i due termini possono sembrare in contraddizione, o si fa

The Qessa Academy (Foto: Rolex Awards / Reto Albertalli)

innovazione per produrre profitto o si lavora sul pathos e sul sociale”. Ma quando parla del suo progetto a Kabul, diventa tutto più chiaro e si capisce come si può fare innovazione anche in contesti estremi. “Sono arrivata in questo Paese con l’incarico, da parte delle Nazioni Unite, di creare un sussidiario per i bambini delle periferie. Invece ho creato fumetti: molto più immediati e di facile impatto in una realtà sociale come quella afghana che conta tra i 18 e i 26 milioni di abitanti di cui il 68% ha meno di 25 anni, il 40% è disoccupato, il 23 % alfabetizzato e la paga media è di 1,50-2 dollari al giorno”. Da qui, l’idea di puntare sulla tradizione locale e sul patrimonio storico che vanta più di mille anni: la scuola per cantastorie è nata così. “Insegniamo a ragazzi disoccupati a preservare lo story telling tradizionale e a scrivere nuove storie in cui diffondere messaggi di sviluppo locale. Avrei potuto creare una normalissima scuola per bambini o una scuola di cucito, ma ho voluto aiutare la gente a proporre soluzioni alle problematiche del proprio Paese attraverso il patrimonio culturale che è il ponte fra i vari gruppi etnici” spiega Selene. È così che si fa innovazione sociale a Kabul: creando posti di lavoro per i giovani, rivitalizzando la cultura storica e il patrimonio orale, cercando soluzioni ai problemi locali.

Utopia? No, realtà. Al punto che la causa sociale di Selene viene sposata da Renzo Rosso, patron di Diesel e fondatore della ong Only The Brave Foundation. “Ho partecipato a un concorso in cui Renzo Rosso era il presidente di giuria. Il mio progetto non vinse e non ottenne i 30mila euro in palio. Ma al momento della premiazione, lui mi chiamò sul palco e mi offrì 15mila euro con cui in un anno abbiamo realizzato libri e fumetti per 5300 persone fra Italia e India. Per me fu un successo”. Anche quest’anno Renzo Rosso ha confermato il suo appoggio a Selene Biffi, con fondi utilizzati per la scuola per cantastorie. “Gli devo molto, è stato il primo a credere in me”.

E sono situazioni come queste che convincono Selene ad andare avanti con i suoi progetti, rifiutando una candidatura al Parlamento e non cedendo alla paura degli attentati dei talebani e della dura realtà locale. “C’è stato un momento in cui ho detto basta, volevo prendere il primo aereo e tornare in Italia – racconta –. Una notte, nella casa dalle pareti di fango dove vivo, la stufa non funzionava più. Era una notte d’inverno, con dieci gradi sotto zero. Volevo scappare. Ho dormito con il cappotto. La mattina dopo ero già vestita, ho messo gli stivali e sono andata a lavorare. C’era ancora tanto da fare”.

Forse basta questa storia per dare un senso alla morte di Barbara De Anna, funzionaria dell’organizzazione Oim colpita in un attacco dei talebani, del capitano Giuseppe La Rosa e di tutte le 53 vittime italiane dall’inizio della missione in Afghanistan. “Perché – conclude Selene – non bisogna essere persone straordinarie per fare cose straordinarie, basta lavorare con passione utilizzando il talento che ci è stato dato”.

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