IL CASO

Scalapay e lo (strutturale) masochismo italiano: teniamoci con orgoglio l’unicorno che ci attribuiscono

Tecnicamente Scalapay non è una scaleup italiana. Ma, dal momento che l’Italia è fuori dalla mappa internazionale delle startup, se ci riconoscono un unicorno, teniamocelo. Il founder è di origine italiana, ha scelto come prima sede Milano e un nome italianeggiante. Perché spaccare il capello in quattro?

Pubblicato il 28 Feb 2022

Raffaele Terrone CFO, Simone Mancini CEO, Johnny Mitresvki CTO, Pingki Houang, Direttore Generale di Scalapay

Settimana scorsa la stampa internazionale ha annunciato il primo unicorno italiano: Scalapay

“Last Week in European Tech: Scalapay is Italy’s first unicorn” ribadiva Tech.eu come prima notizia nel suo weekly summary.

E in Italia, dopo qualche festeggiamento, è subito partito il treno dei “più realisti del re” che hanno, correttamente, individuato che Scalapay in realtà non è tecnicamente una startup italiana in quanto incorporata in Irlanda e “scalata” con capitali esteri. Mi limito a copiare a titolo di esempio il post dell’amico Gianmarco Carnovale.

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La diagnosi è peraltro assolutamente corretta.

Scalapay è una dual company. Per una analisi completa rimando all’articolo dalla bravissima Luciana Maci.

Il punto è un altro.

L’Italia delle startup è fuori dalla mappa internazionale. Non per cattiveria, ma per sostanziale assenza di numeri. I nostri numeri di startup e scaleup e i nostri casi di successo sono semplicemente troppo pochi.

Nel momento in cui ce ne riconoscono uno, teniamocelo e siamone orgogliosi. Anche perché per quanto i founder (tra cui lo stesso Mancini) siano in realtà immigrati australiani, hanno aver scelto Milano come iniziale sede di Scalapay e lì hanno la sede operativa con più di 150 dipendenti.

E ringraziamo Mancini che abbia dato alla sua creatura un nome italianeggiante (nessuno glielo ha chiesto, mi sembra). Fatto che, a differenza di Depop e CommerceLayer, ha condizionato la stampa internazionale che non spacca sempre il capello in quattro per rigore di analisi.

Perché dovremmo farlo noi? Gaudeamus igitur …

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Alberto Onetti
Alberto Onetti

Chairman (di Mind the Bridge), Professore (di Entrepreneurship all’Università dell’Insubria) e imprenditore seriale (Funambol la mia ultima avventura). Geneticamente curioso e affascinato dalle cose complicate.

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