Open innovation significa anche che il nemico non è più nemico: o meglio che “i competitor possono essere partner, perché in un mercato così complesso non è più possibile viaggiare da soli”. A dirlo a EconomyUp è Fabio Santini, direttore della divisione Developer Experience di Microsoft Italia, che sostiene: “Se vogliamo essere la migliore piattaforma possibile per tutti non possiamo prescindere dal fatto che la nostra casa sia aperta ai partner, i quali sono competitor e collaboratori nello stesso momento”.
Sono cambiati i tempi o è cambiata la strategia aziendale?
Molto è cambiato con l’arrivo del nuovo amministratore delegato Satya Nadella, che è sempre stato in Microsoft ma è diventato Ceo circa
un anno e mezzo fa. Stiamo diventando sempre più un’azienda di piattaforme e servizi e abbiamo una missione molto precisa, che non può prescindere dagli altri soggetti in campo, perché il mondo è variegato e l’utente è libero di scegliere la tecnologia o il software che più gli piace. Così abbiamo cominciato a considerare i concorrenti come partner ed è stato interessante vedere anche dall’altra parte lo stesso tipo di apertura. Il mercato sta capendo che in questo mondo così complesso non è più possibile essere attori unici. E quindi siamo certamente più aperti di prima agli attori importanti, cercando di dare loro piattaforme o servizi, soprattutto in vista di quanto otterrà l’utente finale. Non importa se sceglie un iPhone, un iPad, un dispositivo Android o qualsiasi altro sistema: all’utente deve essere garantita la migliore esperienza possibile quando ha a che fare con Microsoft, indipendentemente da cosa sta scegliendo.
Questo vale solo per il mercato consumer o anche per quello delle aziende?
Naturalmente anche per le aziende: in linea con la nostra strategia Openness, negli ultimi giorni abbiamo siglato una nuova partnership con Red Hat per aiutare sempre più imprese a usare il cloud ibrido e offrire loro maggiore flessibilità nell’implementare soluzioni Red Hat su Microsoft Azure. Con l’accordo, Microsoft offrirà infatti Red Hat Enterprise Linux come scelta privilegiata per i flussi di lavoro enterprise Linux su Microsoft Azure. Questo per noi è un segnale di openess non banale. In pratica si può dire che il nemico non è più un nemico. O meglio: ci sono sicuramente aree in cui competiamo e continuiamo a competere, ma ce ne sono molte altre su cui possiamo invece collaborare. E ne possono trarre beneficio tutti i partner coinvolti.
Anche la vostra collaborazione con il mondo delle startup è in ottica openness?
Proprio così. L’ultimo progetto in ordine di tempo in questo campo è la collaborazione con il Gruppo Generali al primo “Generali Innovation Challenge”, dedicato alla ricerca e promozione di talenti e startup in grado di rispondere alle nuove sfide di business del settore assicurativo. Ma come Microsoft abbiamo cominciato a lavorare con le startup anni fa con BizSpark, programma pensato per le startup digitali che offre software e risorse gratuite per 3 anni, supporto attraverso canali dedicati, webinar ed eventi e visibilità grazie alla rete di partner e ai programmi BizSpark Plus e VIPP Program. Microsoft ha sempre lavorato con le realtà imprenditoriali nascenti, cercando di individuare le migliori soluzioni tecnologiche per farle approdare sul mercato.
Le startup possono aiutare le aziende a innovare?
Stiamo constatando un grande interesse degli attori italiani a innovare non più solo internamente ma anche attraverso le startup. Per essere più agili, veloci e avere idee che arrivino senza pregiudizi dall’esterno, lavorare con le neo imprese può essere un percorso interessante per innovare un’azienda che magari è sul mercato da centinaia di anni. Anche per questo abbiamo deciso di collaborare con Generali: perché crediamo che un partner come Microsoft, che conosce bene la tecnologia, e uno come Generali, che conosce benissimo la sua industria, insieme possano dare un valore aggiunto alle startup indirizzandole su scenari di business che sono reali. Invece di lasciare al mercato la libertà di scegliere qualsiasi idea che poi non necessariamente incontra le esigenze dei clienti, bisogna contribuire a sviluppare un’innovazione che si candidi a diventare veramente un prodotto.
Il vostro scopo è vendere tecnologia alle nuove realtà imprenditoriali?
No, in genere la regaliamo. Le startup che entrano nel programma BizSpark hanno un ambiente di sviluppo gratuito, la cloud, il nostro Microsoft Azure ecc. ecc. L’impresa vincitrice del Generali Innovation Challenge, l’italiana Authometion, entrerà all’interno del programma Bispark Plus, ottendendo un pacchetto con maggiori risorse, ovvero tutte le tecnologie gratuite più il nostro supporto in coaching, mentorship, visione architetturale e così via. Il nostro obiettivo è lavorare con le startup, aiutarle a proseguire sulla strada giusta e accompagnarle nel percorso di realizzazione del prodotto. Ne conosciamo tante e abbiamo visto ragazzi fallire non per il valore dell’idea ma per la mancata realizzazione. Il punto è molto semplice: stiamo lavorando in un mercato estremamente veloce. Oggi dall’idea alla realizzazione non passano più un paio di anni, ma pochi mesi. Quindi se io ho un’idea, arrivo sul mercato e la realizzo male, c’è qualcun altro più veloce di me nel realizzarla. Perciò bisogna essere molto precisi: abbiano solo un proiettile da sparare e dobbiamo fare in modo che il bersaglio al poligono sia centrato al primo colpo. Ma l’idea deve essere giusta, il modello di business deve essere validato, ci deve essere una esigenza di mercato e la realizzazione tecnologica deve essere affidabile.
Contate sul fatto che qualcuna delle aziende da voi aiutate diventi la prossima scaleup italiana o magari europea?
Il nostro obiettivo è aiutare tutte le aziende a costruire un software migliore. È evidente che in un prossimo futuro, se la nostra startup diventerà una grande azienda e continuerà a usare le nostre tecnologie, a un certo punto ce le comprerà. Questo potrebbe avvenire tra 5 o 10 anni: sicuramente si tratta di un investimento a lungo termine. Oggi lo facciamo in maniera gratuita, anche per startup che magari non riescono a diventare così grandi ma riescono a sostenersi. Conosciamo ragazzi di 20 o 25 anni che certamente non hanno messo in piedi la Facebook di turno ma stanno andando avanti e hanno dato occupazione a qualche decina di persone. Per noi comunque è bellissimo vedere in Italia giovani che si creano il posto di lavoro.