IL VIAGGIO

Renzi in Vietnam per conoscere l’aspirante Silicon Valley asiatica

Parte oggi da Hanoi il viaggio in Asia del premier: troverà un Paese appassionato di digitale e startup che si candida a diventare leader regionale dell’innovazione

Pubblicato il 09 Giu 2014

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Il presidente del Consiglio Matteo Renzi inizia oggi un viaggio in Asia partendo dal Vietnam per poi fare tappa in Cina e Kazakhstan. È la prima volta dal 1973, anno in cui furono avviate le relazioni diplomatiche, che un premier italiano va ad Hanoi. Qui Renzi incontrerà il primo ministro Nguyen Tan Dung, il presidente Truong Tan Sang e il segretario generale del Partito comunista vietnamita Nguyen Phu Trong. Martedì visiterà gli stabilimenti della Piaggio e della Ariston in due province del nord del Paese, Vinh Phuc e Bac Ninh, per poi ripartire alla volta della Cina, dove farà tappa a Shanghai e Pechino.

Le imprese italiane in Vietnam che hanno effettuato investimenti diretti o attraverso joint ventures sono 36. L’Italia è il decimo Paese fornitore del Paese asiatico e il ventesimo tra gli acquirenti. Nel 2013 la voce dell’export italiano che è cresciuta di più in Vietnam sono gli articoli in pelle, che hanno registrato un balzo del 64%. Ma non tutti sanno che nel Paese c’è gran fermento intorno al digitale e alle startup, al punto che Hanoi potrebbe candidarsi a diventare il più grande hub tecnologico dell’Estremo Oriente.

(articolo pubblicato su EconomyUp il 14/02/2014)

Un tempo erano i nemici, oggi sono gli ispiratori: il Vietnam prende esempio dagli Usa e si candida a diventare la prossima Silicon Valley. Che poi il futuro hub tecnologico del mondo possa nascere in un Paese emergente guidato da una dittatura comunista non è più una novità, dopo il successo delle strategie economiche della Cina.

La dimostrazione che il governo di Hanoi sta puntando seriamente su digitale e start up arriva dal “Silicon Valley Project”, ambizioso e vasto progetto del ministero della Scienza e della Tecnologia per trasformare il Paese da produttore di componenti elettronici per conto di grandi gruppi occidentali a uno dei principali player internazionali in ambito digitale. Per realizzarlo il dicastero ha stanziato 3 milioni di dollari, più 50 milioni l’anno per “l’applicazione della tecnologia attraverso le start up” e 100 milioni per sviluppare l’industria hi tech attraverso un progetto congiunto con la Banca Mondiale.

I finanziamenti dovrebbero servire a lanciare a livello internazionale aziende tecnologiche altamente competitive “made in Vietnam” e a fare di una delle principali città – Hanoi, Ho Chi Minh City o Da Nang – un tech hub noto nel mondo. Obiettivo finale: “Arrivare a quotare le start up vietnamite a Wall Street” dice Han Linh, responsabile dell’iniziativa, pur ammettendo che ci vorranno almeno “sette o otto anni”.

Miraggio o possibilità concreta? Devastato da decenni di occupazione coloniale e conflitti, la nazione asiatica di oltre 90 milioni di abitanti è passata dalle politiche economiche stataliste degli anni Settanta alla strategia liberista avviata dal 1986, che ha modernizzato l’economia e aumentato la competitività del sistema Paese. A tutt’oggi l’11,3% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, ma il tasso di disoccupazione (almeno quello ufficiale dei dati governativi) è solo del 3,2%.

Al di là delle cifre contano i fatti. Un fatto è che il gioco Flappy Bird, una delle app più scaricate al mondo, sia stata sviluppata da un programmatore di Hanoi, Nguyen Ha Dong. “È un incoraggiamento a tutti gli sviluppatori vietnamiti: così capiscono che si può fare un buon prodotto partendo da un singolo imprenditore e da un design molto semplice” è il commento di Quan Dinh, founder di Digi-Gps, start up che produce SmartBike, un antifurto digitale per motociclette che consente di “tracciare” il veicolo rubato attraverso la geolocalizzazione satellitare.

Molti altri Paesi, dall’Irlanda al Giappone a Israele, hanno deciso di scommettere sull’imprenditorialità giovanile, per non parlare degli Stati asiatici appassionati di hi tech come la Cina, “ma il Vietnam è più ambizioso dei suoi vicini” dice Anh-Minh Do, founder di Starthub.vn, uno dei siti finanziati dal Silicon Valley Project, che si definisce come il “cuore dell’ecosistema di start up vietnamita”. Nel suo database ci sono centinaia di neo-imprese tecnologiche nate finora nel Paese e il fondatore conta di arrivare a quota 1000 entro il 2014.

Oltre all’ambizione, uno dei driver degli aspiranti startupper vietnamiti è la passione per l’imprenditoria. “Per loro essere imprenditori significa aver avuto successo nella vita” spiega Chris Zobrist, founder dello Start Center e Saigon Hub, nonché advisor del Silicon Valley Project. In Cina, per esempio, i laureati tendono a preferire posti di lavoro da dipendente, mentre i vietnamiti sarebbero più amanti del rischio.

Ci sono anche i punti a sfavore. Dan Shupp, già manager di Ibm negli Usa e in Cina prima di fondare ad Ho Chi Minh City la società “Free Range Technology”, sottolinea che “si tratta di un piccolo Stato in un mondo molto vasto” e “non c’è un flusso di investimenti significativo come in Cina”. John Levey, statunitense fondatore di Vietnam Works, prima agenzia di collocamento online del Vietnam, sottolinea che “manca la profondità dell’esperienza” della Silicon Valley nella creazione e gestione di start up.

Ma la sfida più seria è un’altra. “Può un’iniziativa finanziata da un governo noto per la limitazione della libertà di parola riuscire in un settore dove la libertà creativa è tutto?” si chiede Chien Cong Nguyen, creatore di Parlayz, network online per tifosi. “Guardiamo agli imprenditori della Silicon Valley: hanno iniziato con fondi governativi, ma poi hanno camminato con le proprie gambe. La lezione – conclude – è chiara: non lasciare mai che il governo interferisca con un ecosistema”. Vedremo se il Vietnam sarà capace di vincere questa scommessa, allineando la libertà di pensiero alla tanto rincorsa libertà di impresa.

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