Quando si fa un’analisi che riguarda le startup in Italia e si prende come punto di riferimento l’elenco delle startup innovative del Registro imprese, la premessa è sempre obbligatoria: lo speciale Registro delle Camere di Commercio rappresenta solo in parte l’universo delle startup hi-tech italiane e comprende anche numerose realtà imprenditoriali che nei fatti di innovativo hanno molto poco e che non hanno modelli di business scalabili, ripetibili e in grado di raccogliere investimenti e di imporsi a livello globale. Ne è la prova anche una rilevazione fatta dall’Osservatorio startup hi-tech della School of management del Politecnico di Milano: solo il 70% delle nuove imprese finanziate tra il 2012 e il 2015 risulta anche iscritto alla sezione speciale del Registro.
D’altro canto il Registro Speciale delle Camere di Commercio è l’unica fonte ufficiale che raggruppa la maggior parte delle startup del nostro Paese e può fornire comunque indicazioni utili per comprendere l’ecosistema nazionale. In base agli ultimi dati forniti dal Registro (aggiornati al 26 dicembre 2016), le startup innovative in Italia sono 6.761 e sono più di cento quelle che in base agli ultimi bilanci presentati hanno dichiarato un valore di produzione (ovvero la somma di fatturato e rimanenze non vendute, ma per comodità lo chiameremo anche semplicemente “fatturato” o “reddito”) superiore al milione di euro: per la precisione 114.
Tra le società “milionarie”, 33 superano il reddito di 2 milioni e quattro fanno registrare un valore di produzione annua che va oltre i 5 milioni di euro. Queste ultime, quindi, sono quelle più a rischio di perdere lo status di startup innovativa, perché – recita la legge 221 del 2012, quella che introduce nell’ordinamento italiano questo tipo di impresa – “a partire dal secondo anno di attività della startup innovativa, il totale del valore della produzione annua, così come risultante dall’ultimo bilancio approvato entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio, non è superiore a 5 milioni di euro”.
Le startup con fatturato tra uno e due milioni sono 77. Alcune realtà sono già piuttosto conosciute perché hanno ottenuto investimenti e premi importanti. Ecco qualche esempio:
►D-Orbit è una società che si occupa sviluppare sistemi di decommissioning di satelliti al termine della loro vita operativa. In altre parole, fanno gli “spazzini dello spazio”. Quest’anno hanno raccolto 2 milioni di euro dalla Commissione europea nell’ambito di un programma di finanziamento alla ricerca scientifica e all’innovazione legato a Horizon 2020.
►BeMyEye è una startup che si serve del crowdsourcing per offrire alle imprese ricerche di mercato e verifiche nei negozi. In pratica, adopera un network di persone che diventano “occhi” per conto delle aziende e fotografano, in cambio di un piccolo compenso, gli scaffali dei negozi per conto della casa madre oppure svolgono altre attività in incognito. Nel 2016 BeMyEye ha raccolto un round di 6,5 milioni e ha anche acquisito la competitor francese LocalEyes.
►Domec è una startup che si occupa di sistemi privativi di pagamento (i cosiddetti closed loop) e di servizi di marketing legati all’acquisizione clienti. Quest’anno, tra equity e debito, ha chiuso un’operazione da 1,6 milioni di euro in cui Sviluppo Basilicata, la finanziaria regionale lucana, è stata la prima investitrice. Ha di recente anche acquisito Spotonway, startup che ha ideato un programma di fedeltà digitale.
►Lovli è una piattaforma fondata nel 2012 specializzata nell’e-commerce di mobili e oggetti made in Italy. Il suo cofondatore, Tiziano Pazzini, ha lasciato una carriera internazionale per ritornare nel nostro Paese da imprenditore e creare quello che lui definisce un talent store, ovvero un punto di incontro tra talenti che si occupano di design.
►Zehus è uno spin-off del Politecnico di Milano che ha realizzato una bicicletta smart a pedalata assistita. Nel 2016 ha chiuso un round da 1,5 milioni di euro a cui hanno partecipato Invitalia Ventures, il fondo pubblico di venture capital guidato da Salvo Mizzi, e il gruppo Vittoria, che produce gomme e tubolari per biciclette.
►Buzzoole è ormai una delle realtà più affermate nel campo dell’influencer marketing. Connette aziende e clienti attraverso gli influencer sui social network. In un’intervista a EconomyUp, il ceo e co-fondatore Fabrizio Perrone ha annunciato che la società, dopo aver chiuso il 2015 con poco più di un milione di euro di ricavi, conta di raggiungere a fine 2016 un fatturato intorno ai 3 milioni.
►Mapendo è una startup che ottimizza la pubblicità sugli smartphone e ha raccolto in dicembre un finanziamento di 745mila euro a cui hanno partecipato IAG e Barcamper.
Tra quelle che hanno superato quota 2 milioni già nel bilancio 2015 ci sono aziende che hanno già messo a segno risultati significativi. Eccone alcune:
►Musement, il portale per prenotare esperienze mentre si è in viaggio, ha raccolto nel 2016 un round series B di 10 milioni di dollari ed è già da qualche anno una delle startup italiane più conosciute a livello internazionale, sia nel turismo che in generale.
►Lovethesign è un marketplace di design che nel 2015 ha raccolto oltre 4 milioni di dollari ed è uno dei marchi più noti per quanto riguarda l’ecommerce di arredo made in Italy
►Empatica è una società che ha sviluppato uno smartwatch che monitora battito cardiaco, stress, attività fisica ed è impiegabile per prevenire diversi disturbi tra cui soprattutto quelli epilettici.
►Brandon (già nota come Brandon Ferrari) è una società che organizza campagne e-commerce per brand importanti.
Poi ci sono le 4 con valore di produzione superiore ai 5 milioni. Di per sé è una bella notizia che delle startup raggiungano questi livelli. Almeno tre su quattro però sono società sui generis che non sembrano aderire perfettamente alla definizione più frequente di startup, ovvero azienda neonata ad alto tasso di innovazione tecnologica, con elevata potenzialità di crescita in tempi e con un modello di business innovativo, scalabile e ripetibile.
Una è Bonetti & Partners, startup nata come evoluzione di un’azienda nata nel 1951 che si occupava di componenti per il settore aerospazio e ha progressivamente allargato il suo business anche a campi come l’oil&gas e il navale. A fine 2014, essendosi lanciata anche nel mercato IT, si è costituita come startup ed è entrata nel registro delle startup innovative. “Abbiamo prodotto internamente una soluzione software mirata sul mondo della difesa relativa al monitoraggio delle esportazioni in ambito militare”, dice a EconomyUp Luca Bonetti, amministratore di Bonetti of America, la società americana con sede a Washington che controlla Bonetti & Partners, che ha sede principale a Genova. “Molte aziende della difesa seguivano i dettami della legge 185/90 servendosi o di strumenti cartacei o di fogli excel. Bastavano anche errori minimi per portare a sanzioni pesanti da parte del ministero. Così abbiamo messo a punto quest’applicazione che permette alle aziende di seguire questa legge passo dopo passo e di compilare con più facilità le trattative”. Tutto il gruppo, dice Bonetti, che è anche presidente e CEO di Bonetti & Partners, fattura circa 20 milioni di euro e conta di chiudere il 2016 in linea con il 2015. Dà lavoro a una trentina di persone, a Genova, ma anche a Roma e Napoli, dove la startup ha delle sedi per poter seguire più da vicino il cliente principale che è Leonardo-Finmeccanica. Oltre all’Italia, ha attività anche in Europa, nel Medio Oriente e nel Sudest asiatico.
Un’altra startup che ha la sua prima data di fondazione nel Novecento è Officine del Bello. Si tratta di una società fondata nel 1946 a
Sagrado, in provincia di Gorizia che opera nel settore della marine technology e realizza diversi prodotti per navi come porte tagliafuoco e in acciaio e pareti a vetro. L’azienda che dal 1963 si è trasferita a Romans D’Isonzo, sempre nel goriziano, dal 2014 è entrata a far parte del Gruppo MBM, società che si occupa di progettazione, costruzione, fornitura e assistenza tecnica per la creazione di allestimenti metallici per cantieristica e piattaforme off-shore. Proprio nel 2014 Officine Del Bello si è costituita come srl (l’iscrizione al Registro imprese è datata 17 settembre) e l’anno successivo si è iscritta alla sezione speciale delle startup innovative. È curioso che la nuova impresa innovativa sia nata nello stesso anno in cui l’azienda è entrata a far parte del Gruppo MBM, perché è probabile abbia evitato per poco di infrangere una delle norme più stringenti contenute nella legge del 2012, secondo cui la startup innovativa non può essere “costituita da una fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o di ramo di azienda”.
Un’altra startup che sta tra le top 4 in termini di valore di produzione è Mashfrog Plus. Stando a quanto si apprende sul sito mashfrog.com, l’azienda sembra essere uno spinoff, con sede legale ad Alghero, di Mashfrog, un gruppo fondato nel 2008 che si occupa di soluzioni digitali e di marketing online e ha sedi operative in Italia (Roma e Milano) e Germania (Monaco, Berlino e Colonia). Mashfrog Plus, si legge sul sito, si occupa di soluzioni corporate, “fornisce servizi di system integration e management consulting in ambito ERP” e collabora con realtà come l’Agenzia Europea per lo Spazio (ESA).
L’altra “pentamilionaria” è Beintoo, società di mobile e proximity marketing fondata nel 2011 da Antonio Tomarchio (che ora ha
lasciato la società per fondare uno spinoff a New York, Cuebiq), Filippo Privitera e altri tre ragazzi. È una società che ha uffici a Milano, Roma, Shanghai e Londra e ha chiuso il 2015 con quasi 6 milioni di euro di fatturato. Secondo Crunchbase ha raccolto finora investimenti per 7,55 milioni di dollari.