“Molte persone vedono l’impresa privata come una tigra feroce da uccidere subito. Altre come una mucca da mungere. Pochissime la vedono com’è in realtà: un cavallo forte e robusto che traina un carro pesante, l’Italia.” Citando Winston Churchill, Carlo Bonomi, Vicepresidente al Credito, Finanza e Fisco Assolombarda, ha introdotto la presentazione dell’analisi condotta da AIFI (Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital) in collaborazione con PwC – Transaction Services sul mercato italiano del capitale di rischio.
“Finalmente in Italia stiamo registrando segnali positivi: il Pil è in crescita, c’è un clima di fiducia nel settore manifatturiero e tra i consumatori e ci sono i primi segnali positivi anche sul mercato del lavoro” ha detto Bonomi. In questo contesto, il private equity internazionale torna in Italia e nel 2014 investe il 39% in più rispetto al 2013. Sotto il segno poritivo anche tutti i dati registrati: nel 2014 gli investimenti arrivano a 3,5 miliardi di euro per 311 operazioni di cui 106 in seed e startup; ammontare investito stabile rispetto all’anno precedente, i fondi internazionali investono 1.905 milioni di euro in crescita rispetto ai 1.366 milioni di euro del 2013. La raccolta indipendente a 1.348 milioni di euro è in crescita rispetto ai 623 milioni dell’anno precedente e aumenta il peso della raccolta degli investitori istituzionali. Il primo settore di investimento per numero è l’IT con 47 operazioni, per ammontare, il lusso con 680 milioni investiti. Aumentano anche i disinvestimenti: 2.632 milioni di euro, cioè +36% rispetto al 2013 con 174 operazioni. Ad oggi, gli operatori di private equity e di venture capital hanno in portafoglio 1.245 aziende che complessivamente impiegano 480mila addetti e fatturano 100 miliardi di euro.
I numeri del private equity italiano
“Guardando questi dati si
vede la conferma del ruolo importante dei fondi di private equity e di venture capital nello sviluppo occupazionale; oggi infatti le imprese in portafoglio impiegano quasi 500mila persone – afferma Innocenzo Cipolletta, presidente AIFI -. Le aziende in cui investono i fondi hanno un tasso di occupazione annuo che cresce del 5,5% rispetto alla variazione registrata in Italia nello stesso periodo del -0,4%; le società in portafoglio registrano un incremento del livello di managerializzazione con una crescita significativa della componente dirigenziale”.
“Nonostante i dati positivi, però, quello del private equity è ancora un settore sottodimensionato – continua Cipolletta – perché l’Italia è ancora fortemente ancorata al sistema bancario, sistema che però non ha grandi margini per investire nelle piccole e medie imprese. Le dimensioni del nostro mercato non sono affatto pari a quanto il nostro Paese potrebbe e dovrebbe permettersi. Il Private Equity e il Venture Capital rappresentano l’alternativa alla crescita delle imprese attraverso il debito bancario. Di questo ha bisogno il nostro Paese per far crescere la dimensione delle nostre imprese e farle uscire dalla morsa del credito che non si allargherà. La speranza che le nostre PMI possano beneficiare delle nuove condizioni di credito favorite dal Quantitative Easing da parte della BCE è una speranza eccessiva. Con le attuali condizioni prudenziali imposte al sistema bancario, il finanziamento delle imprese dovrà necessariamente rivolgersi ad altri canali. Pena la scomparsa di parte significativa del nostro apparato produttivo”.
Ecco nel dettaglio i dati dell’analisi condotta da AIFI. Qui puoi vedere il report in versione completa