(Questo è il testo della rubrica Standup Startup pubblicato sul quotidiano il Foglio del 5 marzo)
Si parla di crowdsourcing in questi giorni dalle parti di Roncade, provincia di Treviso, in H-Farm, il granducato di Riccardo Donadon dove si fermò poco più di un anno fa Matteo Renzi nella sua prima uscita pubblica da premier. Dal 5 al 7 c’è il primo summit italiano sulla crowdeconomy.
L’anglismo non è solo un vezzo in questo caso. La traduzione non rende: economia della folla? Anzi, tradurre crowdsourcing è impossibile: esternalizzazione di servizi affidati alla folla, dovremmo dire con una circonlocuzione che non ci fa capire molto di più. E invece è importante capire quanto la potenza di connessione della Rete associata alla geolocalizzazione di uno smartphone possa permettere, anzi stia già permettendo, la nascita di imprese impensabili nell’era analogica.
Ne sa qualcosa Carlo Crudele, 35 anni, che a dispetto del cognome ha voce e aspetto miti. La sua PetMe, che il 18 marzo festeggia il primo compleanno, al summit internazionale di Roncade si ritrova accanto a colossi come Uber o Airbnb, inevitabile prezzemolo quando si parla di sharing economy, altra parola magica, la nuova economia della condivisione.
Carlo, che di giorno si occupa di digital in un’agenzia di comunicazione, è quel che si definisce un imprenditore seriale: ha cominciato diciottenne nella new economy di fine Anni 90 con un webmagazine musicale, quando mp3 e peer2peer erano roba da adepti; poi ha tenuto in vita per 48 mesi un social network di notizie, Twoorty; quindi è arrivata PetMe, piattaforma per fare incontrare chi ha un animale domestico e chi ha voglia, tempo e capacità di prendersene cura.
«Non ci si può improvvisare startupper. Bisogna fallire un po’ di volte e poi arrivare a quel progetto che effettivamente funziona. PetMe non sarà l’ultimo, ma credo sia quello vincente», dice. A febbraio le prenotazioni sono raddoppiate rispetto a dicembre. «Ogni cosa ci ha insegnato come gestire certe dinamiche, come parlare agli utenti». (continua)