Periscope, la nuova meraviglia dell’hi-tech sfoggiata da Twitter che sta scatenando l’interesse mondiale, è nata tra i tumulti del 2013 in Piazza Taksim a Istanbul. Non proprio l’app, ma certamente l’idea. Kayvon Beykpour e Joe Bernstein – che poi sarebbero diventati i co-founder della startup acquistata da Twitter il mese scorso per (sembra) 120 milioni di dollari – erano in viaggio nella capitale della Turchia quando sono scoppiati i disordini. Beykpour voleva capire cosa stava succedendo in quella piazza, perciò si collegò a Twitter, ma restò insoddisfatto. Poteva leggere i tweet dei manifestanti, ma non poteva vedere le persone e quello che accadeva intorno a loro. “Ho pensato: c’erano così tanti smartphone in quella piazza…Perché non esisteva un modo per chiedere a qualcuno di farmi vedere cosa stava succedendo?” rievoca oggi.
Periscope è stata fondata a febbraio 2014 a San Francisco. Obiettivo: fornire un’app per live videostreaming da smartphone. Appena 11 mesi di lavoro ed ecco la mega-offerta da parte del Ceo di Twitter, Jack Dorsey. Nel frattempo non c’era stata nessuna pubblicità e nessun lancio ufficiale, solo un primo round di investimenti seed da parte di angel investor. La storia di una scommessa vinta in partenza, anzi un po’ prima della partenza.
Kayvon Beykpour e Joe Bernstein in realtà avevano già co-fondato un’altra startup in passato: si chiamava Terriblyclever ed era stata acquistata da Blackboard, società impegnata nella formazione. Poi il viaggio in Turchia e la decisione di intraprendere la nuova avventura imprenditoriale. Tra i primi investitori di Periscope c’era Scott Belsky, dirigente di Adobe, che ora ricorda: “Quando ho incontrato per la prima volta Kayvon e Joe sono rimasto colpito dal loro desiderio di infondere fiducia e trasmettere empatia rendendo chiunque in grado di sperimentare il mondo attraverso gli occhi di qualcun altro. Abbiamo scherzato dicendo che Periscope era un po’ come il teletrasporto, una tecnologia che consente di essere ovunque. La cosa è diventata più seria quando, attraverso Periscope, ho vissuto di persona l’esperienza di un incendio a San Francisco, i primi passi di un bambino e le cure mediche per un malato di cancro”.
L’incontro con Twitter è, come per ogni storia di innovatori che si rispetti, puramente causale. Pochi mesi fa Kayvon Beykpour vede per un caffè Jessica Verrilli, sua ex compagna di studi alla Stanford University e attuale direttore della Corporate Development and Strategy di Twitter. Lei gli chiede cosa sta facendo dopo aver venduto la sua startup a Blackboard, lui tira fuori l’iPhone e le mostra Periscope. È amore a prima vista. Per la app, naturalmente.
Da novembre 2014 prende il via un piano super-segreto per sviluppare la versione beta di Periscope per Twitter, al quale prendono parte alcuni dei founder della piattaforma di micro-blogging, grandi investitori e alcune eccellenze dell’industria hi-tech. Pare che la battuta più ripetuta in questa cerchia ristretta fosse: “La prima regola di Periscope è: non si parla di Periscope”.
Il mese scorso la vendita a Twitter per un cifra che, secondo le fonti più accreditate, oscilla tra i 75 e i 120 milioni di dollari. Il founder di Periscope scherza: “Ci hanno pagato in hashtag”. Adesso è stato lanciato ufficialmente il prodotto, che è già diventato the next big thing nel mondo digitale. E tutto è avvenuto in meno di un anno.
“Non è facile – commenta Beykpour – perché un anno può sembrare un periodo di tempo breve, ma la nostra startup è stata letteralmente nostro figlio e l’abbiamo vista nascere e respirare. Le acquisizioni sono scelte molto difficili sia sul piano personale sia su quello aziendale. Ma riflettendoci obiettivamente, sono problemi da Primo Mondo”. Come dire: ci sono ben altri problemi in giro per il pianeta. Tipo i tumulti per la libertà in Turchia.