#2016UP

Pavone: «Vincerà il Made in Italy se riuscirà a capirsi con le startup»

Il “bello e ben fatto” italiano tornerà leader grazie all’hi-tech, dice Layla Pavone, Ad di Digital Magics. Ma non servono i giganti da un miliardo di fatturato: le startup possono cogliere opportunità anche da progetti con le pmi. Occhio a Hyperloop Transportation Technologies

Pubblicato il 01 Gen 2016

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Layla Pavone

Nel 2016 io punterei ancora sul Made in Italy, concetto che ha sempre caratterizzato il nostro Paese per la capacità di unire bellezza ed altissima qualità nella realizzazione dei prodotti e che, proprio grazie allo sviluppo ed alle applicazioni della tecnologia, ci consentirà di tornare ai vertici delle classifiche internazionali. Il 2016 sarà anche l’anno dell’Open Innovation, perchè grazie anche alla possibilita’ di integrare talento e innovazione nelle aziende italiane, attraverso il contributo delle startup, credo potremo assistere ad un’accelerata dal punto di vista della produzione di nuovi prodotti e servizi che emergeranno a livello globale e che ci consentiranno di tornare ad essere leader indiscussi.

Parlando di startup vorrei anche umilmente ricordare che oggi c’è maggiore consapevolezza che startup non è più solo una parola di moda, non è “fuffa”, termine che ultimamente ho sentito utilizzare molto a sproposito. Questo grazie anche all’impegno messo in primis da Enrico Gasperini, che sarà sempre nel cuore di tutti noi, da tutti noi in Digital Magics e dai nostri partner nel redigere le 8 proposte al Governo italiano del White Paper per favorire gli investimenti in startup, oltre ad una serie di attività portate avanti a favore dell’ecosistema dell’innovazione italiana anche all’interno della nostra associazione Italia Startup. Oggi c’è molta più profondità di visione di quanta ce ne fosse l’anno scorso e sono in molti a pensarla come noi: le startup possono rappresentare un’importante asset per lo sviluppo della nostra economia e per la crescita del Pil. Il 2015 ha segnato una grande differenza da questo punto di vista.

Voglio tuttavia precisare che io non credo, o meglio non sono una fanatica degli “unicorni”, le startup, così definite, che superano un miliardo di dollari di valutazione. Sono molto più pragmatica perché penso al nostro Paese, a tutta la piccola e media impresa italiana e a quante sono le opportunità che si possono cogliere già così, attraverso un finanziamento di qualche milione di euro o attraverso i progetti di open innovation che possono rappresentare un successo per molte startup italiane, senza necessariamente avere aspirazioni e ambizioni stratosferiche, di ricevere finanziamenti miliardari che, nella gran parte dei casi, sono mal riposte se non essere addirittura un’utopia.

Gli unicorni poi si contano sulle dita di un mano. Io penso invece che, piuttosto che continuare ad usare una semantica “tech-snob”, che alla fine non ci appartiene, bisognerebbe trovare un linguaggio che possa dare maggiore concretezza al fatto che nelle startup italiane ci sono talenti, progetti e idee che sono estremamente utili alle imprese che fanno fatica ad innovare ed a cambiare passo. Siamo noi che dobbiamo creare un ponte tra startup e aziende, con semplicità, senza usare necessariamente l’inglese e per far si che il grande valore generato in potenza da queste giovani imprese possa essere compreso, adottato e ampliato dalle migliaia di aziende italiane, che oggi ancora fanno fatica a capire come potersi relazionare con il nostro ecosistema per fare innovazione nei prodotto o nei processi.

Aggiungo anche, sempre mantenendo un mood molto pragmatico, che dobbiamo anche fare di necessità virtù: sono stati investiti soltanto 135 milioni di euro nel 2015 nelle nostre startup. Questa è una cifra ridicola per la sua esiguità. Ma abbiamo un’alternativa: la prateria delle aziende italiane che rappresentano il nostro tessuto economico. Una prateria ancora tutta da esplorare e valorizzare. Lo sforzo dovrà essere quello di raccontare bene alle aziende, con chiarezza e senza troppi giri di parole, che cosa significa fare innovazione collaborando con una giovane impresa innovativa. Talvolta non è facile tradurre questi concetti. Ma noi dovremo sforzarci di parlare nella lingua del nostro interlocutore, dovremo essere dei mediatori e dei traduttori per rendere quanto più comprensibile ad un tipico imprenditore italiano il magico mondo delle startup. Nelle imprese non è scontato che si parli l’inglese, lo ribadisco, per non citare la parola tecnologia, che intimidisce, perché magari il capo azienda, l’imprenditore che ad esempio lavora nel settore manifatturiero, è stato bravissimo nel suo core business, tradizionale, ma ti guarda con sospetto, per non dire come se fossi un marziano, se gli parli di digital e hi-tech. Questo è il motivo per cui abbiamo ideato e lanciato lo scorso 16 dicembre il GIOIN, Gasperini Italian Open Innovation Network. GIOIN sarà “la casa dell’open innovation”. Ne faranno parte imprenditori, professionisti, manager di aziende italiane, che verranno coinvolti in un percorso di informazione e formazione “disruptive”, volto a fornire strumenti, supporti e suggestioni, necessari per affrontare la sfida della quarta rivoluzione industriale. GIOIN sarà anche un’opportunità per potersi confrontare tra “peers”, per condividere idee ed esperienze professionali simili oppure completamente diverse, per fare networking, per creare innovazione di valore.

Quanto alle singole startup, nel 2015 ne ho incontrate centinaia. In Digital Magics abbiamo analizzato tanti progetti interessanti, ma anche molti startupper con prospettive di sviluppo che ci hanno lasciato nel dubbio ma a cui abbiamo comunque dato consigli per migliorare l’idea, il team, il modello di business. Fra gli oltre 1000 progetti ricevuti e studiati ne abbiamo infine selezionati oltre una decina su cui abbiamo deciso di investire e che crediamo possano avere successo nei prossimi anni. Nel nostro portfolio startup, in Digital Magics, vedo ottime prospettive per Buzzoole, che ho seguito personalmente anche come mentor: un team forte, appassionato, con base a Napoli, un fiore all’occhiello del Sud, che si sta espandendo a livello internazionale e che ha sviluppato un algoritmo molto potente nell’ambito dell’advertising online integrandolo con la coda lunga degli “influencer” per creare un’offerta davvero unica e che produce risultati concreti per le media-agency, le digital agency e le aziende che lo stanno utilizzando. Non credo faranno un’exit nel 2016, penso che nemmeno ci stiano ragionando, o meglio sono già arrivate proposte di acquisizione che sono state ritenute, diciamo cosi’, premature ed io sono d’accordo perché Buzzoole sta ottenendo ottime performance ed il fondatore insieme al team è fortemente motivato nel voler continuare a crescere con le proprie forze.

Un’altra nostra startup interessante è Prestiamoci, che fa peer-to-peer lending, unica autorizzata da Banca d’Italia: sta crescendo molto bene, ha appena concluso un ottimo aumento di capitale ed ha tutti i “bit in regola” per diventare un grande successo italiano nell’ambito del Fintech.

Poi c’è il nostro grande progetto, Tripitaly, in collaborazione con Uvet e American Express. Ci siamo presi la responsabilità di provare a fare il portale del turismo incoming italiano, laddove nessuno c’è mai ancora riuscito. Abbiamo unito le forze: le nostre competenze digitali e quelle di Uvet, che è numero uno nell’ambito del turismo. Parlando di Traveltech è assurdo che non esista un’offerta italiana aggregata e competitiva, noi stiamo provando a crearla e nel 2016 credo vedrà la luce.

Ma potrei continuare a raccontare di altre nostre startup che stanno crescendo in maniera entusiasmante, come ad esempio Wishlist, Profumeriaweb, Foodscovery che e’ un vero gioiello del Foodtech Made in Italy e con cui stiamo anche lavorando ad un progetto di Open Innovation, con un importante Editore indipendente. Infine non posso non esprimere orgoglio e ammirazione per Talent Garden e per Davide Dattoli, il suo fondatore che ha 25 anni ed ha creato una realtà unica nel nostro Paese e che sta mietendo successi anche all’estero, dove ha gia’ aperto nuovi campus. Lo dico col cuore, mi piacerebbe che in Italia ci fossero qualche migliaio di Davide Dattoli perché in lui vedo tutte le caratteristiche che un giovane imprenditore dovrebbe avere per fare la differenza nel mercato.

Per quanto riguarda la categoria di prodotto del 2016, a mio parere sarà l’anno dei Big Data: molte aziende cominceranno a capirne la reale utilità. Parallelamente il Made in Italy che tornerà ad essere leader anche attraverso l’evoluzione delle tecnologie applicate al fashion, al food, al design in una parola al “bello e ben fatto”.

Il brand hi-tech del 2016 sarà Hyperloop Transportation Technologies: una grande scommessa, un grande progetto nel quale noi crediamo e che potrebbe davvero rivoluzionare il sistema dei trasporti via terra.

Quanto al personaggio internazionale del 2016, sarà Hillary Clinton, la prima donna nella storia che, secondo me, potrebbe diventare Presidente degli Stati Uniti d’America. Per l’italiana nomino Fabiola Gianotti Direttore Generale del CERN di Ginevra.

La città dell’innovazione del 2016 sarà Milano. Il capoluogo lombardo sarà sempre più la locomotiva indiscussa e tornerà ad essere un polo di attrazione a livello internazionale, ma proprio grazie a Milano molte altre importanti città italiane stanno lavorando finalmente e concretamente per diventare centri propulsori di innovazione.

*Layla Pavone, amministratore delegato del business incubator Digital Magics per l’industry innovation

Per approfondire il tema dell’open innovation, conoscerla e soprattutto capire come guidarla e trarne vantaggio, si può far riferimento all’iniziativa del Gruppo Digital360: una piattaforma che a 360° tocca tutti i temi dell’innovazione aperta.

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