Estendere a tutte le nuove imprese le misure previste per le startup, “perché lo Stato deve essere un amico, e non un nemico, degli imprenditori”: è una proposta di legge che intende varare entro febbraio 2015 Antonio Palmieri, deputato di Forza Italia e componente dell’Intergruppo Innovazione, raggruppamento trasversale di parlamentari impegnati sui temi dell’economia digitale. L’idea, lanciata nell’ambito della seconda edizione di Sharitaly, incontro dedicato alla sharing economy che si è tenuto ieri a Montecitorio, punta a semplificare al massimo la vita dei neo-imprenditori. E riecheggia la proposta lanciata di recente da Alberto Baban, presidente di Piccola Industria Confindustria, di estendere alle Pmi innovative i vantaggi oggi riservati alle startup. “Se un premier come Matteo Renzi definisce gli imprenditori ‘eroi dei nostri tempi” – dice Palmieri a EconomyUp– si capisce subito che c’è qualcosa che non va e che lo Stato è ostile nei loro confronti. È tempo di cambiare”.
Come?
Guardiamoci intorno: in Italia la normativa più favorevole per le nuove imprese è quella messa a punto per le startup innovative, perché prevede meno vincoli burocratici per la costituzione, agevolazioni per le assunzioni, facilitazioni di natura fiscale ecc. ecc. Per questo ritengo che debba essere estesa a tutte le nuove imprese.
Via il concetto di innovazione, dunque?
La normativa, a mio parere, dovrebbe essere estesa a tutti, anche, per dire, a una pizzeria o a un negozio di parrucchiere che hanno appena aperto. Poi certamente non si tratterà di copia-incollare la norma per le startup innovative, anche perché è complessa e composita: c’era un primo testo di legge, poi un secondo, quindi sono arrivati tutti i decreti attuativi. Occorre ri-studiarla per poi arrivare a una proposta ragionevole e ragionata. Inoltre la futura proposta di legge dovrà essere frutto di un lavoro collettivo, così come lo è stata la normativa per le startup innovative.
Tempi?
Per vari motivi ci aspetta un dicembre di fuoco in parlamento, perciò è mia intenzione iniziare a lavorarci da gennaio. Io e i miei collaboratori studieremo le carte, ci confronteremo con il ministero dello Sviluppo economico e con chiunque voglia contribuire con i propri suggerimenti. Poi a fine gennaio, al massimo ai primi di febbraio, ho intenzione di depositare la proposta di legge.
Sarà targata FI?
L’idea è venuta a me, ma sono aperto ai contributi di tutti e alla disponibilità di altri colleghi che volessero essere della partita. Noi di FI ritieniamo che l’attuale situazione in cui versano le imprese sia insopportabile, per questo sentiamo l’esigenza di fare qualcosa. Ma, come diceva Deng Xiaoping, non importa di quale colore sia il gatto, basta che prenda i topi. Quello che veramente conta è se il governo ci starà o no.
E il governo secondo lei ci starà?
Vedremo. Intanto ho riscosso il consenso di vari soggetti che si sono detti pronti a collaborare, e c’è anche la disonibilità e l’interesse di Stefano Firpo, capo della segreteria tecnica del Mise.
Durante l’incontro di ieri lei ha anche lanciato un’altra proposta: una legge per regolamentare la sharing economy.
Sì, è una diversa partita. Intendo predisporre una normativa per regolare questo nuovo fenomeno – l’economia della condivisione – senza rischiare di soffocarlo. Dovrà essere l’esito di un lavoro comune svolto con i vari soggetti rappresentativi della sharing economy, tenendo conto che ci sono aspetti di natura legale particolarmente delicati. Cominceremo a gennaio questo percorso con istituzioni accademiche e imprenditori dando vita a un gruppo di lavoro ad hoc, d’intesa con il Mise.
Una proposta non rischia di cannibalizzare l’altra?
Possono marciare divise e colpire unite. Unite nello scopo di rendere lo Stato meno nemico. Ma sono normative complementari, anche se il percorso per la sharing economy sarà sicuramente più lungo.