LA STORIA

Orapesce, come una startup può portare innovazione in un mercato poco digitale

Nata nel 2018 da un progetto di fine master del founder Giacomo Bedetti, Orapesce è una piattaforma di ecommerce per la vendita di pesce fresco, un mercato che vale 3 miliardi di cui appena l’1% on line. La startup sta chiudendo una campagna di crowdfunding da 400mila euro e per il 2020 punta a mezzo milione di fatturato

Pubblicato il 25 Mar 2020

Photo by Meritt Thomas on Unsplash

Quella di Orapesce è una storia che in questi giorni di “distanziamento sociale” e di negozi chiusi rivela quanto sia ancora possibile fare per filiere finora poco illuminate dalle tecnologie digitali. Ma anche come l’esperienza potenziata dalla formazione possano creare ed esprimere potenza imprenditoriale innovativa. È in qualche modo un modello possibile per ricominciare dopo che avremo vinto la guerra con il virus.

Orapesce è un sito di ecommerce food, specialità ittiche come dice subito il nome, che sta facendo la sua prima campagna di equity crowdfunding (si chiude a fine marzo ma ha già superato l’obiettivo di 400mila euro). Per usare un modello noto, vuole essere la Cortilia del mare. E l’idea non poteva che venire a un uomo di riviera: Giacomo Bedetti, il founder, è nato a Rimini anche se il lavoro l’ha portato a Milano. Percorso da manuale, il suo: laurea in Bocconi, consulente in Accenture, poi l’ingresso in azienda fino all’attuale ruolo manageriale nella società di recupero crediti di una grande banca.

A 40 anni, e non è trascorso molto tempo, Bedetti decide di regalarsi un executive MBA del MIP, la business school del Politecnico di Milano. “Avevo voglia di rimettermi in gioco, volevo imparare qualcosa di nuovo”, racconta adesso. È proprio durante il master che studia le tendenze del grocery on line, scopre il mondo del chilometro zero e il modello Cortilia ma anche l’assenza di “category killer”, protagonisti nel segmento carne e pesce: un mercato quello ittico che in Italia vale circa 3 miliardi di euro, di cui appena l’1% passa dai canali online. Lui, ovviamente, si concentra sul pesce e dedica l’exercutive work di chiusura del master a un progetto di ecommerce del pesce fresco.

Dall’idea Bedetti passa rapidamente ai fatti. “La prima cosa che ho imparato durante il master è la gestione del tempo”, racconta, “acquisici un metodo e non butti via un secondo”. Il business plan c’è ed è da portare su un mercato che lui fino a quel momento conosce come cliente, visto che almeno una volta la settimana il pesce lo compra per le figlie. “La mia mela caduta dall’albero è la conoscenza di armatore di Riccione”, racconta. “Cominciamo così a lavorare su una piattaforma ecommerce per portare il pesce fresco a domicilio, che ha anche le ricette, i consigli dei ristoratori e le storie dei pescatori. Prepariamo ovviamente la supply chain. E ci posizioniamo con prezzi che sono quelli di una città lontana dal mare: il profilo dei cliente è la famiglia con reddito medio-alto, con una forte propensione alla digitalizzazione”. Orapesce va online nel 2018, comincia il test su 50 famiglie a Verona, Bedetti, nel rispetto della logica lean, fa personalmente le prime consegne, a fine anno arrivano i primi capitali da amici e parenti. “E da lì è partito davvero tutto”, ricorda adesso.

Il team di Orapesce
“C’è la concretezza tipica della startup fondata da un over 40: un passo alla volta senza farsi male”, osserva Antonio Ghezzi, che è stato uno dei professori di Bedetti e il tutor del project work, e ha deciso di seguirlo fuori dall’aula nell’impresa, entrando nel consiglio d’amministrazione. Perché la formazione ti dà metodo, visione e anche network.

Orapesce è una startup che in un anno e mezzo ha fatto i suoi primi 100mila euro di fatturato. La crescita è decisamente esponenziale: 14mila euro nel 2018, poco meno di 100mila nel 2019 con l’obiettivo di chiudere il 2020 fra 400 e 600mila euro. “I capitali che raccoglieremo ci serviranno per investire sul marketing e sulla comunicazione: ci serve un boost di visibilità”, spiega Bedetti. “Altro obiettivo è estendersi nel canale horeca, nella ristorazione. Nel piano 2020 c’è un pilota con i ristoranti e contiamo di cominciare a servirne una trentina” .

Antonio Ghezzi, docente del Politecnico e direttore dell’Executive Program in Digital TransformationFLEX

“La velocità di scaling è il risultato del mix tra le capacità di Giacomo, la spinta della formazione e del network che arriva da un master”, spiega Ghezzi. Nel MIP è accaduto altre volte che un progetto di fine corso diventasse impresa, per lui è la prima volta e ne parla come se stesse vedendo crescere il figlio di un carissimo amico. E un po’ è anche così. “Insieme abbiamo fatto la Silicon Valley Experience, una settimana di incontri con incubatori, investitori, imprenditori americani. Durante il viaggio siamo diventati amici e da lì siamo tornati con la volontà di non lasciare il progetto sulla carta. Questo è un bell’esempio di come una formazione basata sull’action learning, come quella del Politecnico di Milano e del MIP, possa generare imprenditorialità”.

Adesso Bedetti è concentrato sulla crescita. “È il momento di scalare il business model, a livello nazionale e poi internazionale. Con lo sviluppo del b2b, poi, potremo lavorare per l’ottimizzazione della logistica e fare economie di scala sulle consegne”. Ma per chi guarda al mare scalare significa anche sperimentare nuove rotte. “Oggi il nostro pesce arriva solo dalle cooperative dell’Adriatico, entro l’anno vogliamo replicare sul Tirreno. Avremo nuovi prodotti, potremo mitigare gli effetti dei periodi di fermo pesca”. E così l’innovazione avanzerà coast to coast.

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