“‘A megghiu parola è chidda ca nun si dici”, ossia la miglior parola è quella non detta, quella che avresti potuto dire ma hai preferito tener per te. Insomma, alle volte è più opportuno tacere.
Non era questo il post che avevo in mente per questa settimana. Volevo tornare a raccontare la storia della mia azienda, che, da un po’ di tempo, ho tralasciato.
In questo blog, spesso ho parlato di fallimento, della paura dell’imprenditore e la scorsa settimana purtroppo ha visto il lancio di una notizia difficile da digerire per il territorio siciliano e per l’ecosistema delle start-up italiane.
La chiusura di Mosaicoon (delle cui difficoltà si vociferava già) è certamente stato un shock, in un territorio in cui le aziende si contano rapidamente e quelle con più di 60 dipendenti e sedi sparse nel mondo sulle punta delle dita di una mano.
Non intendo analizzare le cause che hanno portato alle difficoltà, nè giudicare l’operato di Ugo e del management, semplicemente perchè non le conosco e non credo sia questa la sede. So bene che ogni azienda ha le sue criticità, ogni manager commette i propri errori, ogni squadra (quando c’è) ha le sue tensioni che non contribuiscono certo alla lucidità e alla buona gestione, ogni bilancio nasconde tante dinamiche non sempre immediate. Il successo è un mix di mille fattori e un’alchimia delicata e instabile.
Credo però sia opportuno ragionare su ciò che insegna questa vicenda:
- Viviamo in tempi di incertezza, in cui il bombardamento di parole contribuisce alla confusione e alla disgregazione. Questi giorni ne sono stati la perfetta rappresentazione. Sui giornali e sui social mi sono ritrovato circondato da esperti di gestione e strategia aziendale. Tralascio gli articoli (ad ampi tratti discutibili di Ninja Marketing e Marketop) in cui addirittura si elencano le cause del fallimento.
Come ormai accade in ogni manifestazione della nostra società, tutti (anche coloro che non avevano idea dei problemi, non hanno mai messo piede in azienda o pagato un dipendente, che non sanno che cosa sia un F24 o che non si sono mai confrontati con le più basilari dinamiche aziendali) hanno cominciato a sapere tutto immediatamente. Accediamo al buffet di Internet e istantaneamente abbiamo la convinzione di sapere come risolvere una crisi finanziaria, quali sono gli effetti dei vaccini, cosa accade davvero nel mare in cui affogano i bambini e naturalmente cosa è accaduto a Isola delle Femmine. La convinzione ha sostituito una volta per tutte la curiosità, la ricerca, lo studio e soprattutto l’ascolto. La prepotenza verbale è diventato il registro.
Ho apprezzato come decine di persone sui social sono in grado di valutare un posizionamento, una proposizione commerciale, una strategia di marketing, un prodotto innovativo (con tanto di considerazioni sulla tecnologia adottata). Ho scoperto di essere circondato da consulenti ed esperti pieni di soluzioni e consigli a titolo gratuito. Ovviamente, sarebbe utile che iniziassero a dare i loro servizi gratuiti alle aziende ancora aperte, così, per non dire domani “io lo sapevo…”.
- È risultato chiaro che il successo di Mosaicoon abbia alimentato decine di haters che non aspettavano altro che poter dire “l’avevo detto”. Beh, ho vissuto spesso nella mia vita professionale questa circostanza in prima persona. Con il senno di poi tutti sapevano, tutti avevano la ricetta, perché l’avevano trovata su Forbes o, in fin dei conti lo sentivano, solo che… l’hanno taciuta. Troppo semplice! Gli inglesi lo chiamano “moon-walk ratio” perchè tutti sanno come si presenta la superficie della luna e la possono descrivere o possono dire cosa si prova a camminarci sopra, eppure l’hanno fatto solo in 12.
I fatti sono altra cosa però. I fatti sono che un’azienda non vive 10 anni per caso. I fatti sono che la chiusura è uno scenario, come il fallimento o la liquidazione, come la fine di qualsiasi avventura imprenditoriale. I fatti sono che, correttamente, se non c’erano più le condizioni l’azienda andava chiusa, anche se la scelta è dolorosa per l’imprenditore e i dipendenti. I fatti sono anche che per Palermo, per l’Università e la Sicilia tutta questa chiusura è un colpo pesantissimo, perchè Mosaicoon è stato un importante simbolo di riscatto.
- Mosaicoon poteva volare molto in alto e lo ha fatto per anni. Ha dimostrato (con tutti i suoi limiti) che in Sicilia si può volare e si possono ottenere risultati importanti. Lo ha fatto ed è arrivata ad altezze a cui nessun altro di noi ha potuto. Non importa come, non importa se il contesto l’ha aiutata. In ogni nazione, ci sono delle aziende “vessillo” che vengono promosse (anche a livello istituzionale) come esempio per gli altri. Nessuno se ne scandalizza (basti guardare al programma “Tech is Great” di UKTI, in cui anche noi siamo stati coinvolti). Sostieni e promuovi un’azienda per dimostrare a chi sta iniziando che si può avere successo.
Come ha scritto Gery Palazzotto, “Il bello delle scommesse è che sono eccitanti, il brutto è che si possono perdere”. Mosaicoon ha perso alcune scommesse, ma oggi, i pochi imprenditori che siamo rimasti in Sicilia dovremmo serrare le fila, fare (per una volta) rete e provare a dimostrare che non c’è solo Mosaicoon, che dalla Sicilia, dal Meridione, dall’Italia si può comunque volare in alto, che l’innovazione può svilupparsi anche qui, magari con minori riconoscimenti ma con profitto. Se fossimo in un’altra terra, forse, Mosaicoon diventerebbe il simbolo del successo a cui tutti aspirare, non il vessillo dell’insuccesso a cui fare riferimento (come una moderna Icaro che volle osare troppo).
A Isola delle Femmine si dice “‘A megghiu parola è chidda ca nun si dici”, bene, rimbocchiamoci le maniche e parliamo di meno.