«C’è voglia di fare impresa innovativa, cosa decisamente non semplice e da non confondere con una moderna corsa all’oro. E ci sono validi esempi che mostrano come la cosa sia interessante e possibile». Stefano Mainetti, consigliere delegato dei Polihub, l’incubatore gestito dalla Fondazione Politecnico di Milano, archivia la prima parte del 2016 con cauta soddisfazione. Il sistema cresce e in autunno crescerà anche il Polihub, anticipa in questa intervista a EconomyUp. Da pochi giorni è online il sito completamente rinnovato, mentre vanno avanti i lavori di ampliamento alla Bovisa, dove ha sede quello che nei ranking internazionali è il secondo incubatore universitario d’Europa e il quinto al mondo.
Mainetti, come sta andando questo 2016?
Nel primo semestre ci sono state una decina di exit interessanti, fra le quali quella di FabTotum, startup nata in PoliHub. Le startup italiane hanno raccolto circa 100 milioni di investimenti, che salgono a 150 se si considerano anche le società che si sono spostate all’estero. Se confrontiamo questi dati con quelli del primo semestre 2015, ci accorgiamo che sono tre volte più grandi. Inoltre prosegue, anche se con risultati alterni, lo sforzo per semplificare la vita alle startup e favorire la costituzione di fondi specializzati. Insomma, l’ecosistema italiano sta indubbiamente divenendo più solido.
Le startup innovative hanno sfondato il tetto 6mila. Troppe o troppo poche?
Ci sono evidenze che ci permettono di andare oltre la sterile polemica sulle 6.000 startup innovative che non crescono e che sono sottocapitalizzate. E comunque sia, nelle 6.000 startup innovative oggi iscritte al registro delle Camere di commercio, ci sono più di 30.000 addetti, prevalentemente con competenze hi-tech, che non pensano più a “occupare” un posto di lavoro, ma a “creare” il proprio posto di lavoro e, possibilmente, molti altri. Anche solo questo cambiamento culturale fa capire quale possa essere il valore delle startup per tutto il Paese.
Tutti continuano a lamentare la penuria di risorse finanziarie ma gli investimenti del primo semestre sono più o meno pari all’ammontare dell’intero 2015. I capitali ci sono o no?
Se ci confrontiamo con gli Usa o anche solo con le altre nazioni europee, i dati sono impietosi: quando va bene i rapporti sono uno a dieci. È un’evidenza ineludibile: soffriamo di una carenza di disponibilità di capitali di rischio e di gestori, le startup devono cedere importanti quote azionarie per poter ottenere finanziamenti, le valutazioni e la liquidità del mercato ne soffrono. Le cose stanno però evolvendo rapidamente. Da un lato, a livello globale, oggi c’è maggior attenzione alla valutazione delle startup e alla stima del potenziale di crescita. Questo ha portato nel secondo trimestre 2016 il mercato aggregato del venture in Europa a scendere di oltre un terzo. Dall’altro lato, però, il mercato italiano è diventato più solido e gli investimenti, come detto, sono cresciuti in modo significativo. Quindi mi piace ragionevolmente pensare che anche l’anomalia italiana possa via via rientrare. Ovviamente, molto è nelle mani del legislatore: in Italia l’investimento in startup gode di un incentivo fiscale del 19% come credito d’imposta. L’incentivo è interessante, ma è più basso che in altri Paesi con i quali ambiamo di confrontarci.
Non ci sono ancora grandi operazioni, ma anche qualche azienda italiana sta cominciando a fare corporate venture capital o a comprare startup: che cosa vedi dal tuo osservatorio?
Sta per finire la stagione del marketing dell’innovazione?
Le grandi e ora anche le medie imprese italiane guardano con attenzione al mondo delle startup. Si sta passando dal marketing dell’innovazione, alla reale open innovation d’impresa. PoliHub, anche grazie alla sua esperienza (l’incubatore del Politecnico di Milano è nato nel 2000, ndr) opera da tempo in modo concreto su questo fronte. Ricerca scientifica, ricerca applicata e trasferimento tecnologico sono da sempre un punto di forza della nostra accademia e la possibilità di avviare una startup innovative per testare il valore dell’innovazione tecnologica è per PoliHub un passo del tutto naturale. Contemporaneamente abbiamo attivato unitamente alla School of Management del Politecnico di Milano, già tre anni orsono, l’Osservatorio Startup Intelligence per monitorare lo stato internazionale e nazionale del comparto delle startup e a mettere in contatto le migliori realtà con le grandi imprese. Oggi Startup Intelligence coinvolge più di 40 innovation manager di grandi imprese e sta ottenendo un successo crescente. Insomma, per PoliHub la fine dell’era del marketing dell’innovazione è tutto sommato una buona notizia.
Ecco l’intervista video a Stefano Mainetti realizzata nel maggio 2016
Open innovation: mancano le risorse finanziarie o la necessaria cultura aziendale?
L’open innovation si fa da sempre, anche se non si chiamava in questo modo. Basti pensare in Italia all’affermata cultura dell’innovazione combinatoria e sistematica fatta nei distretti fra i leader di filiera e i fornitori. Le università sono sempre state un importante attore di questi fenomeni e oggi c’è decisamente più apertura nel coinvolgerle. La crisi economica, l’esigenza di trasformazione, il rapido cambiamento di alcuni mercati hanno favorito l’affermarsi di modelli di innovazione più aperta. Oggi i manager sono culturalmente più aperti a questi temi. Se lavoreremo bene, producendo reale valore, credo gli investimenti finanziari crescenti saranno una naturale conseguenza.
Le startup aumentano, il mercato comunque è in grande movimento. Come si sta attrezzando il Polihub?
Le startup aumentano anche in PoliHub, abbiamo completato un importante ampliamento degli spazi e, in autunno, inaugureremo tre nuovi piano del nostro nuovo edificio presso il Campus Bovisa, raddoppiando i metri quadri disponibili. Fra le nuove startup, stanno crescendo gli spin off universitari, startup che godono di importanti differenziali tecnologici in quanto partono da una solidissima base scientifica. Inoltre anche il nostro progetto di distretto dell’innovazione si sta consolidando: sta crescendo il numero delle aziende che ha deciso di aprire una sede dedicata all’innovazione presso #PoliHub per poter collaborare ancor meglio nelle iniziative di open innovation svolte con l’interno network esteso del Politecnico di Milano.
Polihub è già nella top ten degli incubatori europei: quali sono gli obiettivi di questa crescita che si concretizzerà in autunno?
Oggi ogni grande università internazionale deve essere in grado di attirare i migliori studenti per formarli e offrire loro le migliori opportunità. Fra queste, non può mancare un supporto all’imprenditoria. Supporto che PoliHub offre non solo agli studenti del Politecnico, ma anche a ricercatori e professori e, grazie al modello di “hub”, anche a chi dall’esterno vuole unirsi al network esteso dell’Ateneo, siano essi imprenditori o aziende già affermate. L’obiettivo per PoliHub è quello di garantire servizi in grado di confermare la tradizione di eccellenza del Politecnico di Milano. Vogliamo quindi continuare ad essere un punto di riferimento in Italia e distinguerci, a livello internazionale, come uno deli migliori incubatori universitari. Per far questo abbiamo ulteriormente intensificato le nostre collaborazioni con il MIP, la Business School del Politecnico, permettendo agli startupper di PoliHub di accedere in modo significativamente agevolato ad un’ampia offerta di corsi executive di management e, viceversa, permettere agli allievi dei corsi MBA di mettere alla prova in PoliHub le loro idee imprenditoriali. Analoghe iniziative partiranno in settembre con PoliDesign, il centro di eccellenza del Politecnico nel design, e stiamo definendo nuove collaborazioni anche con Cefriel, il centro di eccellenza sull’ICT. Infine, grazie al supporto offerto dalla Fondazione del Politecnico di Milano, l’azionista di riferimento di PoliHub, intendiamo valorizzare sempre più le collaborazioni con tutti di Dipartimenti del Politecnico.