La settimana si è chiusa con la notizia della vendita di un altro marchio del made in Italy, Pernigotti, ceduto dal gruppo Averna a una conglomerata familiare turca, la Toksoz, attiva nel settore famaceutico, in quello energetico e in quello alimentare. I gianduiotti se ne vanno dopo la cessione della milanesissima confetteria Cova, via Montenapoleone, ai francesi di LVMH, gli stessi che hanno comprato l’80% di LoroPiana. Sono solo coincidenze, ma il fatto che tutto sia accaduto nel giro di pochi giorni giustifica l’allarme: ci sentiamo minacciati dai cugini d’oltralpe come anche dagli “stranieri” che avanzano dai Paesi emergenti. Ma il fenomeno non è nuovo e, prevedono diversi osservatori, non finisce qui.
Il guaio è che adesso, dopo le lamentele, le analisi e i commenti, finito l’allarme, si tornerà alla routine delle fiere, delle costose missioni internazionali, delle pratiche burocratiche per accedere ai benefici di qualche ente o di qualche consorzio più o meno utile. Questa invece dovrebbe essere l’occasione per fare un ragionamento definitivo sul made in Italy e sul suo futuro. Per capire che il mondo è cambiato e ci sono alcuni lavori che non siamo più in grado di fare in maniera competitiva per il mercato globale, mentre siamo molto bravi a farne altri, che è il motivo per cui cinesi, francesi e turchi ci comprano. In questi lavori, dove spesso siamo o troppo piccoli o …ritardati, dobbiamo capire quale pezzo della catena del valore può essere potenziato dalle opportunità digitali. Insomma, bisogna cambiare modelli, abitudini, strumenti. Questo si chiama fare innovazione, a tutti i livelli. E il modo più economico e più veloce per farlo restano le start up. Un’idea che sta cominciando a circolare anche in Italia: ci lavora Confindustria con un progetto dedicato, le aziende di qualità cominciano ad aprirsi alle nuove idee e alle nuove imprese innovative, persino le multinazionali che sulla carta meno ne avrebbero bisogno lo fanno sempre di più per ovviare alla scarsa agilità delle loro strutture organizzative.
Economyup.it nasce per raccontare (e favorire) questo movimento, che è appena cominciato e va incoraggiato e sostenuto. Tutto il sistema economico deve reinventarsi start up, con una visione globale e un rinnovato gusto del rischio. E può farlo. Il progetto editoriale si fonda su una convinzione: nonostante tutto, esiste un’Italia che ha volontà, qualità e capacità per crescere. La narrazione sarà un elemento importate di questo percorso. Perché certamente non saranno i pianti di coccodrillo a salvare il Made in Italy dalle insufficienze interne e dagli assalti internazionali.