I segreti per debuttare con successo in Borsa e proseguire serenamente dopo il debutto? Offrire prodotti o servizi di qualità, mantenere trasparenza nei dati e un rapporto costante con l’investitore, essere consapevoli (e rendere consapevoli gli investor) che alcune delle società quotate hanno progetti pluriennali, quindi necessitano di tempo per maturare, e infine, se si punta all’internazionalizzazione, superare fin dall’inizio le barriere linguistiche e culturali che ostacolano le relazioni con aziende estere. Parola di Luca Azzali, co-founder e attuale Coo (Chief Operating Officer) di MailUp, società specializzata nel direct marketing multicanale (email e sms) che festeggia un anno dalla quotazione all’Aim, il listino di Borsa Italiana riservato alle piccole e medie imprese ad alto potenziale. Proprio in coincidenza con la ricorrenza, MailUp ha acquisito il 70% di Acumbamail SL, società emergente nel campo dell’email marketing in Spagna, nell’ottica di una strategia di internazionalizzazione, dichiarata al momento dell’ingresso all’Aim il Il 29 luglio 2014. In tutto la ex startup fondata nel 2002 da Azzali insieme con Nazzareno Gorni, l’attuale Ceo, ha raccolto 3 milioni di euro: il collocamento ha infatti comportato l’emissione di 1,2 milioni di nuove azioni al servizio dell’aumento di capitale al prezzo di 2,50 euro ciascuna. La capitalizzazione della società post quotazione è risultata pari a 20 milioni di euro con un flottante pari al 15% dell’intero capitale. Da allora il titolo ha registrato un andamento medio del +20% (da 2,50 euro a 3,00). Un caso non così frequente: l’Aim è un segmento che si sta rivelando molto attraente per le matricole, ma spesso le performance non sono all’altezza delle aspettative. Invece la società basata sul modello pay per speed (i clienti pagano per la velocità di invio di email e sms, non per i volumi inviati) sta veleggiando tranquillamente sul mercato azionario. “È vero: a volte, dopo il primo anno, alcune aziende si ritrovano con quotazioni anche al di sotto del prezzo di collocamento” dice Azzali, 43 anni, originario di Cremona con studi di ingegneria alle spalle e una passione per l’e-commerce. “Ma non è stato così per noi, perché abbiamo presentato risultati in linea con le attese”.
Quali consigli darebbe a una società che intendere quotarsi all’Aim?
Innanzitutto avere un prodotto o un servizio di qualità, che permetta agli investitori di credere nel progetto. Poi superare fin dall’inizio le barriere linguistiche e culturali per entrare in relazione con le aziende estere. Siamo abituati a sentir glorificare il Made in Italy, eppure a volte non sappiamo relazionarci con chi è diverso da noi. Per questo si parla di nanismo della nostra imprenditoria. Invece più si va verso il Nord Europa, più è semplice dialogare con culture diverse. È così anche negli Usa, dove le aspettative del cliente sono elevate, perciò c’è maggiore cura nei suoi confronti, la qualità dei servizi online è più alta rispetto all’Europa e c’è maggiore trasparenza aziendale. Tutti elementi importanti per potersi presentare agli azionisti.
Ce ne sono altri?
Va sottolineato che l’Aim è un mercato particolare, con imprese molto giovani e innovative. Ci sono diverse società con piani interessanti ma, da investitori, bisogna scegliere se prenderle in considerazione in un’ottica esclusivamente finanziaria, controllando la quotazione economica giorno per giorno, o se vanno considerate adottando una visione più ampia, sulla base del completamento dei loro progetti. Molti sono progetti pluriennali, che andranno in porto nel medio-lungo periodo. Su questo noi abbiamo sempre cercato di mantenere una comunicazione attiva, in modo da creare trasparenza su quello che viene fatto. Ecco un altro elemento rilevante per chi decide di quotarsi: mantenere un rapporto continuativo con gli investitori, senza avere paura di affrontare anche tematiche spinose. L’importante è che il progetto sia credibile e sostenibile. E che le persone investano su progetti in cui credono personalmente.
Voi avete puntato sull’internazionalizzazione. Ma anche una società “local” ce la può fare?
Assolutamente sì, l’importante è la qualità. Noi abbiamo optato per la ricerca di nuovi capitali sul mercato azionario proprio per strutturare la nostra strategia di internazionalizzazione. Nel 2011 avevamo aperto una sede nella Silicon Valley e cominciato a lavorare sull’Europa, lo scorso anno abbiamo iniziato il percorso di ingresso in Spagna e in Sudamerica, nei mesi scorsi abbiamo aperto in Indonesia e Giappone e da ultimo è arrivata l’acquisizione della startup spagnola, mirata appunto a rafforzare la nostra presenza nei Paesi di lingua spagnola, la seconda più parlata al mondo. Ma ci sono diverse aziende italiane, eccellenze nel mondo, che hanno produzioni limitate e un mercato locale, però puntano sulla qualità del prodotto. La parte di internazionalizzazione non deve essere affrontata a tutti i costi. L’importante, ripeto, è la qualità. E anche la capacità di superare i fallimenti.
Invece in Europa si tende ancora a vedere il fallimento come un’onta…
Quando una startup è stata avviata e gestita in modo corretto, se l’obiettivo non si concretizza ci possono essere mille motivi. Bisogna capirlo e andare avanti. Negli Usa lo sanno, in Europa ancora no. D’altra parte va detto che la logica della “startup ad ogni costo”, purtroppo abbastanza diffusa negli ultimi anni in Italia, non sta facendo benissimo a quelle persone che vogliono dar vita seriamente a un nuovo progetto. È stata fornita tanta informazione generica, ma poca sugli obiettivi concreti, sulla necessità per gli startupper di essere credibili e di superare un banco di prova. Molti giovani sono ancora convinti che, sviluppando un’app da piazzare su Android o sullo store di Apple, diventeranno multimilionari.
Un’ultima domanda: come avete convinto la gente a investire su un’azienda high-tech che tratta con i “vecchi” sms?
Al di là del successo di WhatsApp e analoga messaggistica, negli ultimi anni l’sms sta vivendo una seconda giovinezza, in particolare per l’invio di contenuti pubblicitari. I punti a favore sono la semplicità di utilizzo, il fatto che, a differenza dell’email, è molto raro che il messaggino venga cancellato senza essere letto, e i costi ridotti. È uno strumento finora poco usato in maniera massiva, ma le aziende lo hanno riscoperto. Avrà ancora una vita medio-lunga.