Al Web Summit di Lisbona c’è anche Andrea Dusi. Appassionato di tecnologia, blogger e imprenditore.: il suo nome è noto nell’ecosistema italiano soprattutto per la exit di WishDays, la società fondata a Verona nel 2006, comprata ad aprile 2016 da SmartBox Group. «A 40 anni avevo bisogno di cambiare. In futuro voglio fare qualcosa che abbia un impatto positivo sulla società e sulla mia famiglia» ha raccontato a EconomyUp. Ecco alcune sue riflessioni sullo “show business legato al mondo delle startup italiano”.
Preparandomi ad andare al Web Summit di Lisbona, mi sono trovato a fare alcune riflessioni su tutto lo show business legato al mondo delle startup italiano (quello che conosco meglio).
Il titolo è abbastanza esplicativo: è per me sempre più difficile trovare le migliori idee, le migliori persone, le migliori startup, nelle quali investire, a causa dell’enorme quantità di fumo attorno all’arrosto (buonissimo) che abbiamo nel nostro paese.
Solo negli ultimi 10 mesi sono stato contattato via email / linkedin / facebook / angel.co / cold call, da circa 350 persone diverse che mi hanno proposto la loro idea / impresa / progetto / sogno. A queste, si aggiungono gli incontri fatti attraverso le associazioni di angel/società di venture capitalist delle quali sono membro e il passaparola che mi ha portato a numerosi incontri one-to-one. Tutto mediamente molto piacevole. Mi piace sempre vedere l’entuasiasmo, la gioia, le capacità di molte persone che affrontano la loro avventura lavorativa.
Alcune considerazioni:
– l’ormone medio di chi è convinto di avere la startup “vincente” è ai livelli altissimi. Quando frequento gli incontri/eventi dedicato a questo mondo (sempre meno per la verità), mi sembra di essere circondato da un mix di Elon Musk, Steve Job, Mark Zuckerberg (magari impersonificati nella stessa persona). Sembrano convinti che siamo tutti scemi e che basti cercare uno “show off” per essere finanziati. Mai come in questa fase apprezzo chi, pur convinto delle sue idee e con la giusta dose di entuasismo, tiene un profilo “sereno” e soprattutto a terra.
Essere CEO di niente è come moltiplicare un miliardo per zero. Fa sempre zero. Un po’ di modestia non guasta mai, nella vita ma nemmeno nello show business delle startup.
– Le discussioni sui vari forum dedicati all’argomento. Pazzesco, proprio vero: quelli bravi non parlano mai di sè e non cercano l’affermazione sui social. Riescono ad averla nella vita reale.Ho tanta stima di molti imprenditori (da cui imparo molto) che seguo e vedo che hanno sostanzialmente (tra le altre) anche queste tre caratteristiche in comune:
1) non hanno paura ad andare controcorrente
2) non parlano mai mai mai di sè
3) sanno ascoltare.
– Valutazioni e fatturato. Anche oggi parlavo con un bravo e stimato imprenditore che ha appena ricevuto un’offerta di acquisizione per la sua startup tecnologica per un determinato prezzo. Che fattura (e bene) e che ha un vantaggio competitivo tecnologico importante sul mercato.
Bene: due terzi delle startup che chiedono soldi agli investitori hanno una valutazione pre-money superiore a questo valore. Magari con fatturati attuali pari allo zero, o quasi.
Qui non si tratta di negoziazione di un investitore che vuole una fetta più grande della torta pagandola poco. Si tratta di un rapporto rischi-benefici sia di chi investe sia dell’imprenditore. Ritorno su un argomento spesso dibattuto: l’obiettivo di chi fa una startup non deve essere ottenere finanziamenti, ma trovare nel minor tempo possibile il fit product/market corretto per validare il suo modello. Chiaro che se il modello sta in piedi (non solo sulla carta però) è giusto e corretto che si chiedano soldi ad investitori a valutazioni elevate. Ma questo caso non è così frequente da noi”.