Da molto non parlo di innovazione. Non ho avuto molta voglia di scrivere in questo periodo, perchè ho ripreso a riflettere su nuovi potenziali prodotti e servizi per i prossimi anni. Credo che i momenti come questo meritino silenzio. Questo blog ha anche la finalità di raccontare le differenti fasi nella vita di un impresa e il silenzio è certamente una di queste.
Chi si occupa di innovare (sia i propri prodotti/servizi che quelli dei propri clienti) sa che l’innovazione vive di due momenti chiave: una rivoluzione (basti pensare all’iPhone o alla Blockchain), seguita sempre da processi di evoluzione, che si arresteranno quando avrà luogo una nuova rivoluzione.
Ciascuna fase presenta le sue sfide.
La sfida per gli innovatori rivoluzionari è dimostrare il valore della novità e vincere le resistenze al cambiamento, soprattutto quando questo è repentino e dirompente.
L’evoluzione lavora più lentamente, è un processo più lungo e più frequente rispetto alla rivoluzione, ma richiede ugualmente impegno. La sfida in questo caso è diffondere il nuovo e farlo adottare, farlo percepire nella giusta prospettiva e nel giusto contesto, consolidandone la crescita.
Basti pensare a come è cambiata la gestione della carta d’imbarco dei voli.
La archiviamo sul telefono, mentre prima dovevamo stamparla (e prima ancora andava stampata al banco in aeroporto). Abbiamo fatto evolvere la nostra gestione, mentre per l’aeroporto il processo è rimasto sostanzialmente inalterato (a meno dei risparmi e dell’impatto ambientale); una semplice scansione di un barcode per accedere all’aeromobile. Magari domani useremo altri metodi, altri supporti, ma abbiamo solo ottimizzato il processo, non lo abbiamo rivoluzionato.
Quindi in ambedue i contesti, è fondamentale fare in modo che i clienti possano “percepire” correttamente l’innovazione (qualunque essa sia), interagire con essa, sia in termini di prodotto, che di servizio che di affidabilità del brand che la propone.
E’ stato dimostrato scientificamente che la “realtà” non è solo qualcosa che percepiamo intorno a noi, è creata all’interno delle nostre menti. Sostanzialmente, riceviamo input sensoriali e, usando costrutti culturali e personali, completiamo ciò che manca e creiamo una “realtà” all’interno del nostro cervello. E’ così che entriamo in contatto e costruiamo la nostra percezione del prodotto innovativo.
Con la Realtà Virtuale, man mano che le tecnologie di input sensoriale migliorano, possiamo ingannare il nostro cervello e reagire come se fossimo in un contesto reale (io ad esempio ho sofferto di vertigini provando a guardare giù dallo sportello di un elicottero in volo mentre indossavo il visore. Sapevo di non essere in volo, ma il mio cervello stava costruendo la sua realtà in quel momento e stava reagendo come sa).
La letteratura scientifica è piena di illusioni visive e uditive basate sulla percezione che il cervello umano può creare e che interpreta come reali.
E’ immediato come le possibilità di terapia, apprendimento, gioco e forse anche danno (magari sui soggetti più deboli) derivanti da queste tecnologie siano illimitate. Penso che progressivamente ci verrà richiesto di creare una realtà attorno ai prodotti del futuro.
Come ha scritto Mel Slater, il potere della Realtà Virtuale non è tanto quello di riprodurre la realtà così come la conosciamo, ma di creare realtà completamente nuove, che nemmeno sono possibili nel mondo che conosciamo, in cui magari le leggi della fisica sono state completamente sovvertite. Le azioni in questo nuovo mondo avrebbero conseguenze totalmente nuove e impossibili da ottenere in quello tradizionale. Con il potere dell’immaginazione, la realtà improvvisamente non avrebbe più limiti, i prodotti del futuro potrebbero avere quindi una realtà e un relazione con i propri clienti molto particolare.
Eppure non è solo la Realtà Virtuale a permetterci di generare realtà nuove o di alterare quella esistente. Sono incappato in un interessantissimo studio condotto a fine Dicembre 2017 dalla Castello, un marchio danese di formaggi.
Partendo da presupposto che il gusto è creato nel cervello a partire da una serie di stimoli – non solo dalle papille gustative (basti pensare ai vini) – lo studio ha dimostrato che accoppiare un colore (del piatto), un suono, un’immagine, un oggetto cambia la percezione del sapore del formaggio. Cambia la percezione se assaggiamo il formaggio usando un elegante cucchiaio o una stoviglia di plastica. Prendere il formaggio da un piatto bianco, nero o rosso può drasticamente cambiare le caratteristiche principali che percepiamo.
Questi principi non si applicano solo al food, ma anche ai siti web, alle campagne pubblicitarie, alle innovazioni (rivoluzionarie o evolutive) che introduciamo nelle nostre aziende.
Questo credo chiarisca come qualsiasi innovazione richieda un’esperienza adeguata e un contesto consono per potersi propagare. Un giorno forse potremo anche “hackerare il nostro cervello”, nel frattempo però ogni sforzo innovativo non può prescindere da questi aspetti di interazione con il cliente. Le organizzazioni dovranno necessariamente iniziare a pensare ai loro prodotti e servizi in un’ottica completamente nuova, in cui la realtà che si creerà il cliente, la percezione che avrà, saranno determinanti per il successo.