Il personaggio

Il prof che per il 2015 sogna più studenti imprenditori

Daniele Manni, uno dei due italiani in gara come migliore professore del mondo, a Lecce insegna ai suoi studenti come fare startup. E molte idee nate sui banchi di scuola sono già imprese in crescita. “Chi decide di seguire la via dell’imprenditorialità, non dovrà bussare a nessuna porta per trovare lavoro”

Pubblicato il 11 Dic 2014

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Daniele Manni

“Un sogno per il 2015? Che sempre più ragazzi possano seguire la strada dell’imprenditorialità in modo da non dover bussare a nessuna porta per trovare lavoro”. Ha le idee chiare Daniele Manni, docente di informatica all’Istituto tecnico Galilei-Costa di Lecce. Un prof del tutto particolare e fuori dagli schemi. Perché oltre a linguaggi html e a nozioni tecniche per costruire un sito internet, ai suoi ragazzi spiega come realizzare una startup. Insomma, con Manni il mondo del lavoro arriva direttamente in aula, sui banchi di scuola.

(Imprenditori si nasce? No, si diventa sui banchi di scuola. Videointervista a Miriam Cresta, direttore generale di Junior Achievement Italia)

E non è un caso che il suo nome sia finito nella lista dei docenti che concorrono al Global Teacher prize, il premio della Varkey Gems Foundation che ha messo in palio un milione di dollari per il professore più bravo del mondo, unico italiano insieme alla collega Daniela Boscolo, docente di un istituto tecnico della provincia di Rovigo.

Ma in ogni quindicenne c’è davvero un potenziale imprenditore? “Andiamoci piano” ride il prof, che spiega come l’idea di insegnare agli adolescenti a fare startup sia nata una decina di anni fa. “Affascinato dalle idee che possono nascere dalla mente dei ragazzi, ho deciso di stimolarli a credere nei loro progetti: ogni anni organizzo gruppi di lavoro in classe ai quali affido il compito di creare un piano per la realizzazione di un’impresa. Il piano deve essere completo: dal nome al business plan, dal logo al sito internet e alla realizzazione pratica dell’idea. In media su 5 gruppi di studenti, 2-3 idee sono abbastanza buone e vengono realizzate, le altre muoiono. Ma ciò che è importante è che i ragazzi inizino a masticare concetti come startup, impresa, imprenditorialità e a tirare fuori le loro potenzialità. Sia chiaro: è tutto molto artigianale, intuitivo, semplice.” spiega il docente. Che, sempre per aiutare i suoi studenti-imprenditori, nel 2004 ha fondato Arianoa (“aria nuova” nel dialetto locale), una società con lo scopo di aiutare e sostenere gli studenti e le loro startup.

(Anna Amati: “A scuola servono lezioni di futuro”. La videointervista)

E proprio da Arianoa stanno uscendo gli imprenditori del domani: Antonio Scarnera, 16 anni, ha creato Island oh Host, un’azienda informatica che noleggia server web; Gianluigi Parrotto, dopo il diploma, a 20 anni ha continuato un progetto iniziato a scuola e ha creato Renewable, società che progetta, costruisce e vende su internet pale eoliche da utilizzare sui tetti delle case. Entrambi sono finiti al Maker Fair di Roma.

E sono solo alcuni dei progetti che Manni ha aiutato a sviluppare. Ma come vengono finanziate queste startup? “Le imprese che nascono a scuola non hanno bisogno di grandi finanziamenti” taglia corto il prof. Strano ma vero. Prendiamo il caso di Antonio Scarnera: “Per realizzare la startup aveva bisogno di due cose: supporto fiscale, in quanto minorenne, e un server. Il primo l’ha offerto Arianoa; il secondo è stato acquistato con l’aiuto della famiglia. Il ragazzo, poi, ha avuto l’idea di parcellizzare lo spazio e di noleggiarlo. Oggi copre tutte le spese con un’azienda che ha un fatturato in continua crescita” spiega.

Ma questo è solo un esempio. “Un anno e mezzo fa, alcuni ragazzi hanno avuto l’idea di commercializzare in modo nuovo l’olio di oliva. La Puglia, infatti, è un grande

L' istituto tecnico Galilei-Costa di Lecce

produttore di olio di oliva ma, rispetto ad altre regioni come la Toscana che produce poco olio ma sa venderlo molto bene sul mercato, la nostra regione produce molto ma ha problemi nelle strategie di vendita. I ragazzi, hanno pensato di esaltare tutte le qualità dell’olio facendone quasi un prodotto di bellezza. Hanno acquistato delle bottigliette d’acciaio e hanno convinto uno dei maggiori produttori di olio della zona a confezionarlo nelle bottigliette che poi hanno messo in vendita su un sito creato appositamente per lo scopo” spiega Manni. “Una normale bottiglia di olio d’oliva da 75 cl che trovate al supermercato costa da 6 ai 10-12 euro. Le bottigliette dei ragazzi, che hanno un terzo della quantità di olio rispetto a una normale bottiglia, sono state messe in vendita online al prezzo in offerta di 20 euro. In pochi mesi sono state vendute 120 bottiglie. Una parte del ricavato ha coperto le spese e una parte è andata al produttore di olio. Ma un buon 30 per cento del ricavato è rimasto ai ragazzi. È poco, ma è un inizio. Soprattutto se parliamo di ragazzi di 15-16 anni” continua il docente.

[Tre principi per cambiare la scuola (e trovare lavoro)]

“Ecco come si finanziano le nostre startup. È ovvio che molta gente del luogo mi conosce e sa, come nel caso del produttore di olio, che il compenso arriverà con il tempo. È il caso di un’altra startup: Dieta Med-Italiana. Nata nel 2010 con l’intento di promuovere la cucina locale dopo che l’Unesco ha proclamato la dieta mediterranea patrimonio dell’umanità, si è trasformata con il tempo in un vero e proprio festival che si ripete ogni anno. Nel 2014 sono arrivati a Lecce 55mila visitatori. Anche in questo caso c’erano i costi di noleggio delle strutture, dei gazebo, della pubblicità. Ecco, la parola d’ordine è pazienza: i fornitori sanno che avranno il loro compenso alla fine della manifestazione”.

L’hanno avuto? “Le dico solo che i ragazzi che hanno ideato Dieta Med-Italiana stanno pensando di organizzare il festival due volte all’anno, non solo in primavera ma anche in autunno. Idea che la dice lunga sui guadagni che il Festival sta portando ai ragazzi” ironizza il docente. Che però sottolinea: “Certo, l’ideale sarebbe che un giorno queste startup potessero uscire dalla nostra regione, trovare un vero investitore, grandi finanziamenti e prendere il volo. Ma per ora va bene così. In Italia, la parola startup va di moda ma è qualcosa che riguarda i ragazzi dai 20 anni in su, spesso con una laurea. Qui stiamo parlando di adolescenti che devono ancora affacciarsi sul mondo del lavoro. È questa la cosa straordinaria. Poi molti di loro sceglieranno di studiare legge o medicina all’università. Ma non importa: intanto hanno assaggiato un pezzetto di mondo contando solo sulle proprie capacità” spiega Manni.

(Startup a 20 anni o a 40?)

E se il Salento è stato battezzato come ‘Startup Valley d’Italia’ è anche grazie a lui e alla sua capacità di andare oltre i programmi didattici e a portare l’imprenditoria a scuola. “È vero, negli ultimi anni il Salento ha visto crescere tantissime imprese innovative, dalla tecnologia all’agroalimentare, dal turismo all’abbigliamento, dalla biomedicina all’ecosostenibilità alla chimica d’avanguardia. Un buon motivo per continuare sulla mia strada: aiutare i ragazzi a prendere coscienza della realtà che li circonda e ad essere protagonisti nel loro territorio. Non serve anche a questo la scuola?”.

(Benvenuti al Sud che non vuole fermarsi)

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