«La prima cosa che ho imparato è a percepire il vantaggio di chi è il primo a muoversi in una certa area. Essere in testa al plotone che entra in un nuovo campo, capire per primi le implicazioni di una scoperta, di un oggetto appena inventato. L’altra cosa è il valore del tempo. È la cultura delle “startup”: se ti fermi vieni scavalcato, gli altri vanno avanti. Devi imparare a prendere decisioni complesse sotto la pressione del tempo. Questo è contrario alla cultura dell’accademia che è abituata a muoversi lentamente. A volte è utile, eviti le infatuazioni momentanee, ma ci sono anche molti svantaggi».
A parlare è John Hennessy, potente dean della Stanford University, che domenica sera ha organizzato un’esclusiva cena per il presidente del Consiglio Matteo Renzi all’ìinterno del campus con pochi ma selezionati e influenti ospiti della digital economy statunitense.
Non rilascia spesso interviste Hennessy, che è stato ribattezzato il “padrino della Silicon Valey” da Marc Andreessen (fondatore di Netscape e oggi influente venture capitalist). Ma ha fatto un’eccezione ieri con il Corriere della Sera, forse per dare il benvenuto al premier Renzi attraverso un quotidiano italiano.
In una lunga conversazione con Massimo Gaggi, il computer scientist che guida da 14 anni Stanford e siede in importanti consigli di amministrazione (Cisco, Google) e fa anche l’imprenditore, sintetizza lo spirito della Silicon Valley e racconta come l’università dove hanno studiato tanti startupper di successo sta affrontando la sfida della digitalizzazione.
«Sparirà la lezione-conferenza ma non il campus, il rapporto personale col docente resta essenziale», prevede. E anticipa: «La vera rivoluzione, un grosso business, la vedremo nel professional higher education market, la formazione continua di professionisti e manager che devono continuare a seguire corsi di aggiornamento mentre lavorano: loro lo faranno quasi solo online. Troppo indaffarati per frequentare aule universitarie».
Continua Hennessy: «Nei meccanismi siamo sempre più simili alle imprese: loro, tutte ma soprattutto quelle dell’hi-tech, devono mantenere il motore dell’innovazione sempre acceso, devono sviluppare soluzioni e prodotti nuovi, creare nuove opportunità di business. Per noi la sfida è quella di continuare ad essere una fonte di innovazione e creatività. Dunque le due cose vanno di pari passo. Ovviamente un’università ha un orizzonte temporale più lungo, è meno focalizzata sui prodotti, c’è più spazio per la curiosità».
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