Abbiamo già parlato dei disagi psicologici che colpiscono chi fa startup (leggi qui i risultati di una ricerca a livello europeo). Il problema è più ampio e serio di quanto si possa pensare. Il 50% degli imprenditori soffre di malattie mentali, la più diffusa tra queste è la bipolarità (21%).
Per questo motivi, insieme con Giovanni Iozzia, nell’ultima puntata di Innovation Weekly prima della pausa estiva, abbiamo deciso di approfondire il tema dei disagi psicologici cercando di fare venire alla luce il “lato oscuro delle startup”. L’occasione è stato il Summer Retreat a Massimago (ospiti di Carlo Rossi Chauvenet) di Junior Jedi, la tech community italiana guidata da Francesco Inguscio.
Disagi psicologici e startup: dal burn rate al burnout
Per tutte le startup la più grande ossessione è la cassa, rimanere senza soldi (“running out of cash”). La metrica principe è il “burn rate”, ossia la quantità di cassa che si brucia su base trimestrale o mensile (anche settimanale nei momenti più cupi…).
Andy Dunn (co-founder di Bonobos , exit da oltre 300 milioni con Walmart) ci ha scritto un libro con questo titolo: “Burn Rate”. Sottotitolo: “Launching a startup and losing my mind”. Dal burn rate al burnout e alla depressione il passo è purtroppo più breve di quanto si pensi.
L’elaborazione del lutto e i primi segnali della depressione
Paola Bonomo, che come business angel conosce bene il dietro le quinte delle startup, ci ha raccontato di come i founder elaborino il lutto: si passa dalla superstizione (se trovo i soldi, faccio …), allo shock, dalla negazione del problema fino alla rabbia. Quando le cose vanno male cadono spesso in depressione. Per male qui si intende anche una startup che, per quanto stia in piedi (fatturato ed utili), non ha saputo svoltare. Resta la frustrazione di non avere conseguito il sogno.
I primi segnali dei disagi psicologici di chi fa startup si avvertono quando viene meno la comunicazione con gli investitori. Il founder in crisi tende a chiudersi in se stesso, anche un po’ per orgoglio.
I disagi psicologici ci sono anche quando la startup va bene
L’imprenditore può stare male anche quando le cose vanno bene. Cresce l’azienda e con essa il peso delle responsabilità. E gestire la crescita richiede competenze diverse, che un founder non necessariamente possiede.
Paradossalmente si può stare male anche dopo avere avuto successo. Dunn ha tentato 12 volte il suicidio dopo aver fatto la exit (e che exit!). Perché? Gli è venuta meno la sfida. Confessa di essere caduto in depressione quando doveva essere felice. Ma, all fine, ha capito che non doveva farla finita, ma piuttosto gridare al mondo il suo stato.
Se state male, parlatene senza problemi
“Parlatene senza problemi, non c’è nessun stigma sociale. E se vedete qualcuno che non sta bene, regalategli il libro di Dunn, lui/lei capirà”, ricorda Inguscio, che fa outing sulla sua bipolarità.
“Servono livelli di supporto a cerchi concentrici (dalla famiglia, agli amici fino ai colleghi e agli investitori) e soprattutto non bisogna avere paura di voltare di pagina”, consiglia Paola Bonomo.
È quindi importante avere qualcuno con cui parlarne, con cui condividere la situazione.
Un partner con cui condividere l’avventura imprenditoriale può aiutare?
Lo abbiamo chiesto a due coppie imprenditoriali.
Luca La Mesa e Giulia Lapertosa (che condividono, oltre al matrimonio, Carriere.it) e Andrea Dusi e Cristina Pozzi, la coppia dietro alla exit di Wish Days, la startup di cofanetti regalo ceduta a SmartBox.
“Nel 2006 avevamo finito i soldi. Me ne ero accorto un venerdì e, per non rovinare il weekend al team, con gli ultimi soldi residui avevo acquistato un po’ di esperienze con dei nomi finti. Seppi solo nove anni dopo che loro sapevano che ero io. Poi siamo – non so come – sopravvissuti, ma abbiamo anche rischiato di morire due anni prima della exit”, ha ricordato Andrea.
“Quando vuoi spaccare, hai un solo obiettivo in testa, cui alla fine tendi a sacrificare tutto. Ma la vita è fatta di tante cose, e si rischia di dimenticarsi delle altre”, ricorda Cristina.
“Quando stavo lanciando Carriere.it mi sono accorta che stavo mettendo completamente da parte me stessa. Il mio corpo ha iniziato a ribellarsi, per tempo sono stata sotto antibiotico. Nel frattempo stavo diventando anche una persona peggiore per il mio team. Ora mi forzo a prendermi cura di me, a partire da piccole cose come bloccare uno slot per andare in palestra”, dice Giulia.
E poi il tema della solitudine, nei momenti cupi, ma anche nei momenti belli. “Crei un bell’ambiente ma tu sei sempre un po’ più solo, perché sei il capo”, puntualizza Cristina. “Organizzi una festa o un viaggio con i colleghi, ma, ad un certo punto, devi andare via perché loro non sono liberi con te, anche se magari hanno la tua stessa età o sono poco più giovani. E la solitudine te la porti con te, perché il lavoro è anche vita”, aggiunge Andrea.
Ma i founder vanno in vacanza?
“A livello di biglietto aereo sì, a livello di testa no. Quando parte la fiammata, non puoi lasciarla andare, anche se il momento suggerirebbe di staccare” , dice Luca.
Provare per credere. Immaginatevi la faccia di Giulia Lapertosa mentre Luca La Mesa rispondeva a migliaia di commenti sui social durante un safari in Africa. Qui il link per chi volesse vedere mentre la racconta.
E ricordatavi: di “startuppite” ci si ammala ma si può guarire, o almeno gestirla (parlo per un amico).