Non più tardi di un mese fa Edison ha annunciato il suo ingresso in un fondo di venture capital francese (ne abbiamo scritto qui). A fine aprile, la società di Foro Buonaparte ha stretto un accordo con Idinvest Partners, fondo paneuropeo di private equity e venture capital basato a Parigi. L’operazione, che lancia ufficialmente il colosso dell’energia nell’arena delle startup innovative, ha portato alla nascita di Electranova Capital II, un veicolo d’investimento in capitale di rischio a supporto delle giovani realtà innovative che sviluppano progetti nell’ambito della smart energy. L’accordo prevede che una parte dei soldi investiti da Edison nel fondo francese, non è stato specificato quanto, debba essere investito in startup italiane. A patto che «si riescano a trovare startup con un modello di business scalabile, in grado di sbarcare velocemente sul mercato internazionale», ha sottolineato Fabio Mondini, venture partner di Idinvest. Proprio a Mondini, Economyup ha chiesto di spiegare il senso dell’operazione e quali sono le caratteristiche del fondo francese per cui opera.
Come mai Edison abbia scelto Idinvest in qualità di partner è facile dirlo. Stiamo parlando di una realtà che gestisce circa 9 miliardi di euro (2,5 destinati al venture capital, 3,5 al fondo dei fondi e 3 miliardi al private debt) e che investe ogni anno tra i 250 e i 300 milioni di euro in venture capital. Cifre da far arrossire, considerato che in Italia il totale degli investimenti in venture capital nel 2017 (quindi la somma degli investimenti effettuati da tutti i fondi) è stata di circa 100 milioni di euro. In altre parole, un solo fondo francese investe in un anno quasi il triplo di quanto investono nello stesso periodo tutti i vc italiani.
Edison entra in un fondo di venture capital francese (che investirà anche in Italia)
Idinvest Partners è una realtà formata da un team di circa un centinaio di persone a Parigi, haedquarter del fondo, e ha una struttura con tre anime: venture capital; fondo dei fondi e private debt. Gli investimenti del fondo di venture si focalizzano su tre settori: digitale, healhtcare e smart city. All’interno del segmento digitale operano tre fondi (Idivenst Digital Fund I,II,III), proprio di recente il gruppo ha effettuato il primo first closing del terzo fondo digitale a 180 milioni. Mentre in quello Smart City due (Electronova capital I, II) di cui il primo ha nel mirino startup che operano in ambito cleantech (con focus su rinnovabili ed efficienza energetica) e il secondo – quello in cui dovrebbero confluire i capitali di Edison – punta a società attive nel campo della new mobility (car sharing e altre iniziative in grado di ridurre le emissioni). A questi si aggiungono poi due fondi di growth capital, che intervengono in una fase di crescita più avanzata della startup, che hanno in dotazione rispettivamente 150 e 250 milioni.
«Quello che facciamo per le aziende – spiega Mondini – è intercettare i trend in atto e generare un dealflow di valore. Il processo di investimento del fondo è autonomo, ma se ci troviamo di fronte a tematiche estremamente tecniche siamo pronti a chiede supporto ai nostri partner (le aziende, ndr). Nel momento in cui le startup entrano nel nostro portfolio, poi, ci attiviamo per dar loro supporto allo sviluppo del business attraverso la Sme Academy, il network di medie imprese finanziato da Idinvest, spesso mettendole in contatto con i nostri partner LP o altre grandi corporate». Giusto per dare qualche cifra, leggendo i dati di Crunchbase, di recente Idinvest ha effettuato un investimento da 60 milioni di euro in Scality, software house di San Francisco, e 16 milioni in Midaxo startup che ha sviluppato una piattaforma per le aziende basata sul cloud.
Ora, in seguito dell’accordo con Edison, Idinvest dovrà dimostrare di saper portare a termine investimenti di valore anche nel mercato italiano. Un mercato che «è diventato maturo negli ultimi mesi – secondo Mondini – grazie anche alle agevolazioni fiscali messe in atto di recente. E negli ultimi 18 mesi sono arrivati più soldi». Che cosa manca allora per fare il salto di qualità? «Manca un caso di successo e oltre alla motivazione giusta da parte degli imprenditori più in gamba. In generale, però, vedo un sistema più oliato, che darà vita a un circolo virtuoso. Ne sono convinto, tanto che io stesso di recente ho effettuato degli investimenti in Italia – dopo molti investimenti in altri Paesi – puntando capitali personali su realtà come Yocabe e Big Profile. Ne sentiremo parlare presto».
La nota dolente, nel panorama italiano, resta quella del venture capital. Un settore storicamente asfittico e che stenta a decollare nonostante le sue potenzialità. «Credo che il problema del venture capital in Italia sia legato a un ecosistema che non è sviluppato a sufficienza. Manca un po’ la cultura del fare squadra. E soprattutto pesa la mancanza di realtà significative al di fuori delle due città principali. In buona sostanza, il vc in Italia non è sviluppato in modo omogeneo su tutto il territorio, e succede che startup che avrebbero dovuto avere supporto sul loro territorio non riescono a decollare. Tornando al caso della Francia, Lione è famosa per un network di business angel molto attivo. Questo nonostante non si tratti di una delle città principali della Francia. È un dettaglio che può fare la differenza». E se la distanza con la Francia è ancora così evidente, forse sarebbe il caso di prestare maggiore attenzione ai dettagli.