Una survey di Sifted ha evidenziato il profondo stato di malessere che sembra affliggere chi fa startup in Europa, in particolare in questo momento di grande contrazione.
I founder segnalano l’enorme fatica nel provare a fare crescere le proprie aziende senza sufficienti capitali, la difficoltà a reperirne di nuovi, lo scarso supporto da parte degli investitori esistenti, l’aumento di stress e ansia che talvolta possono portare a compromettere anche la propria salute mentale.
Il tutto è forse aggravato da una narrativa che, incurante del contesto, continua a celebrare l’aspetto “cool” del fare startup.
Di seguito ho estratto due commenti tra i tanti:
“There’s still a lot of BS around how we should aim to be global leaders, move fast, talk to customers, listen to a million fractional snake oil salesmen — but at the same time, cut costs, run lean, focus on niches”.
“It’s like you’ve been reading a book about going on a new adventure with a band of heroes, which is suddenly ending in a Dostoyevsky-styled survival novel that reflects on sanity.”
Ne abbiamo discusso durante la scorsa puntata di Innovation Weekly con Giovanni Iozzia. Rimandando alla registrazione per chi volesse sentire il dibattito (e ai commenti per chi volesse dire la sua) vi riassumo di seguito il mio pensiero “unfiltered” (disclaimer: recentemente ho un po’ il nervo scoperto).
Fare startup non è per tutti
Fare startup è difficile (f***ing hard come dicono in Silicon Valley). E non è per nulla cool.
Soprattutto è un lavoro ove si è, di necessità, soli al comando. Chi guida una startup non può permettersi di far trasparire incertezza, preoccupazione, disperazione. Deve costantemente trasmettere fiducia e confidenza se vuole che la squadra non si sfaldi e gli investitori non si dileguino più rapidamente. È il principio (riassunto male ma in modo efficace) del “fake it until you make it”.
Quindi non è mestiere per tutti. Non bastano intuizione, creatività, genio. Ci vogliono persistenza, determinazione, equilibrio, autocontrollo, ottimismo soprattutto quando le cose non vanno bene (che è peraltro la maggior parte del tempo).
Però la narrativa intorno alle startup tende a sottovalutare molto questo aspetto. Mentre diffondere spirito imprenditoriale a tutti i livelli (scuola, università, ricerca, azienda, …) è cosa buona e giusta, fare startup (che è cosa ben diversa) non è per tutti. E questo andrebbe detto.
Il Venture Capital funziona perché è brutalmente meritocratico
Il mondo del venture capital è brutalmente meritocratico: funziona perché è basato su criteri feroci di selezione dei migliori. Nel fare questo, non guarda in faccia a niente e nessuno. È basato sulla “power law”: il che significa che procede scremando, scremando, e poi ancora scremando. Uno su cento, uno su mille.
Non ha tra le sue caratteristiche distintive né la pazienza, né la solidarietà e la mutua assistenza.
E non significa che faccia sempre le scelte giuste. Lo stesso peraltro si applica, con un layer aggiuntivo di complessità organizzativa e politica, nella sua versione aziendale (chiamatela CVC o Open Innovation).
Ma questo è.
Gli impatti sul founder e sulla suo equilibrio mentale
Tutto ciò ha impatti sulla figura dei founders?
Assolutamente sì perché il founder fa un lavoro che ha statisticamente poche probabilità di successo ed espone a pressioni “enormi”. Deve capitalizzare al massimo in poco tempo il capitale fornito da terzi che non sono pazienti e si attendono ritorni giganteschi. E più ti hanno premiato con valutazioni alte, più è alta l’aspettativa di rendimento (e quindi la pressione sui risultati).
Venture Capital: Leggere le avvertenze prima dell’uso
Ma mi sembra poco coerente lamentarsi del giocattolo visto che le regole di funzionamento sono ampiamente note. È come stupirsi di perdere al tavolo della roulette dove al posto del chip hai il tuo talento. Inutile prendersela con il croupier.
I founder che si lamentano hanno probabilmente sbagliato mestiere.
E, aprendo una piccola parentesi, l’avere provato a fare startup, senza avere prodotto risultato alcuno o risultati modesti, non qualifica necessariamente come esperti in grado di dispensare consigli e morali. Sono abbastanza annoiato dalla narrativa autoreferenziale di founder che non hanno messo a terra alcun risultato “material” (non parlo di unicorni, ma di aziende con una decina di milioni di fatturato e un numero significativo di dipendenti). Se, anche dopo lunghe valutazioni e corteggiamenti, i VC non ti finanziano e/o le aziende non usano la tua tecnologia, un motivo ci sarà. E, molto raramente, è sfortuna (tua) o impreparazione o cattiva fede (degli altri).
Il mondo delle startup è Sparta, non Atene
Chiudo con una battuta. Il mondo delle startup è più Sparta che Atene. È un mondo brutale ove tutto quello che non funziona viene scagliato dal Taigeto che, in termini moderni, possiamo rendere come no (initial e follow-up) investments. Non c’è nulla di romantico in questo mondo, se non nella narrativa, che probabilmente andrebbe un po’ ribilanciata. Perché fare startup è f***ing hard.