Mini-guida

Gli elefanti hanno davvero paura dei topi?

Nell’era dell’open innovation i big dell’imprenditoria si muovono lentamente, mentre i piccoli sono più agili ma hanno meno risorse. Non solo non devono aver timore gli uni degli altri, ma devono imparare a collaborare. Come spiega lo studioso Joi Ito in questo vademecum per aziende

Pubblicato il 16 Nov 2016

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Michele Franzese

Il modello di innovazione tradizionale non funziona più, lo sappiamo da anni. Da quando, nel 2003, Henry Chesbrough pubblicò il saggio “The era of open innovation” in cui proponeva un nuovo paradigma innovatore, nel segno di un’apertura oltre i confini dell’impresa.

Da quel momento, sul concetto di Open Innovation si è discusso a lungo, interrogandosi sulla natura della relazione tra grandi e piccole imprese. Per rendere tutto più semplice, proverò a descrivere la situazione con una metafora ispirata al mondo animale.

Il mondo dell’imprenditoria è popolato da realtà di dimensioni più o meno importanti, così come nella savana esistono gli elefanti e i topi. I primi, a causa della loro stazza, occupano un grande spazio e si muovono lentamente; i secondi, più piccoli e agili, hanno l’energia per correre ma, spesso, non tutte le risorse per farlo nel modo giusto.

Si dice che gli elefanti abbiano paura dei topi. È infatti credenza diffusa che, grazie alle dimensioni ridotte, i topi siano in grado di infilarsi nella proboscide dei pachidermi e raggiungere il loro cervello, facendoli impazzire. Ma è davvero così? In verità, la realtà batte l’immaginazione. E’ stato infatti dimostrato che, in natura, topi ed elefanti convivono pacificamente, senza alcun timore l’uno nei confronti dell’altro.

La pacifica convivenza sarebbe un ottimo punto di partenza nel rapporto tra le piccole startup e le grandi imprese, ma io sono convinto che si possa osare ancora di più. Le due realtà possono imparare a collaborare.

A questo proposito, trovo molto interessante il vademecum dello studioso Joi Ito per le aziende. Un documento importante che sottolinea la necessità di lavorare nel segno dell’Open Innovation nell’era del “Dopo Internet”. Nove principi che, come ammesso da Ito stesso, potrebbero rivelarsi potenzialmente distruttivi o, al contrario, altamente costruttivi se applicati al fine di evitare l’obsolescenza delle grandi realtà per mano di competitor più agili. Il suo invito era chiaro: accettare il rischio, guardarsi attorno e capire di essere parte di un ecosistema, far leva sul networking e provare ad adottare una nuova mentalità per prepararsi alle sfide del futuro.

Oggi i numeri gli danno ragione. In questo momento di crisi, a resistere sono le piccole e medie imprese che hanno cambiato rotta, quelle che hanno investito sulle risorse umane e hanno usato buone bussole, quelle che hanno lavorato sulla pratica anziché sulla teoria. Quelle, insomma, che hanno saputo interpretare i tempi e adattarsi di conseguenza. Non si sono irrigidite, non hanno resistito al cambiamento, ma hanno imparato a reinventarsi per rispondere alle nuove esigenze al meglio. Aziende che hanno saputo essere agili, attingendo a un network di risorse e conoscenze che hanno permesso di sveltire e alleggerire le incombenze.

Joi Ito’s 9 Principles of the Media Lab from MIT CMS/Writing on Vimeo.

Resilienza, dice Ito: una lezione che vale ancora oggi e che dovrebbe continuare a illuminare la strada del virtuoso rapporto tra aziende e startup ancora per molto.

Joi Ito’s ‘9 Principles’ of the Media Lab

Ito elenca nove principi che le aziende affermate devono tenere a mente per non rischiare l’obsolescenza per mano di competitor più agili.

1. La resilienza anziché la forza. Ovvero la capacità di accettare gli insuccessi: non cercare di opporsi ma sapersi rialzare subito in piedi.

2. Tirare anziché spingere. Significa trarre le risorse dalla rete man mano che servono, anziché immagazzinarle e gestirle a livello centralizzato.

3. Correre rischi invece di puntare alla sicurezza.

4. Concentrarsi sul sistema, non sugli elementi.

5. Avere buone bussole, non mappe.

6. Lavorare sulla pratica anziché sulla teoria. A volte non sappiamo come mai qualcosa non funziona, ma l’importante è che funzioni, non la nostra teoria sul perché questo accade…

7. Praticare la disobbedienza anziché attenersi alle regole. Non si vince il premio Nobel con l’osservanza scrupolosa delle norme. La scuola dà troppa importanza all’obbedienza, mentre dovrebbe premiare il coraggio di disobbedire.

8. È la gente che conta, non gli esperti.

9. Concentrarsi sull’apprendimento anziché sull’istruzione.

Tutti questi principi sono potenzialmente distruttivi – o molto istruttivi – per le grandi imprese, è questa la grande sfida.

*Michele Franzese, Founder di Heroes Meet in Maratea

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