Fondare una startup non è esclusiva delle persone mosse da spirito imprenditoriale. Spesso farlo è una risposta alle incertezze del mercato del lavoro, alle offerte professionali poco appetibili o irricevibili. Talvolta è la soluzione per saggiare le potenzialità del territorio in cui si vive, senza dover per forza andare all’estero.
Fondare una startup, le regole e il linguaggio
Fondare una startup è anche un modo per mettersi in gioco con gli amici o con i compagni di università. E può rappresentare la soluzione alle tante difficoltà che si incontrano quando si è pronti per entrare nel mondo del lavoro.
Certo occorre un’idea valida ed efficace e lo spirito imprenditoriale un po’ deve toccare il founder, altrimenti la strada è davvero faticosa.
Tutto ciò che riguarda la vita di una startup ha le proprie regole e il proprio linguaggio, essere o diventare startupper è un cammino ben delineato che deve essere intrapreso assolutamente con slancio e sana follia ma anche con cognizione di causa.
Fondare una startup, i requisiti e gli incentivi
Se poi si punta a una startup innovativa, da una dozzina di anni in Italia esiste una normativa ad hoc, lo Startup Act, di cui si sta discutendo una revisione proprio in queste settimane, che facilita la vita dei nuovi imprenditori.
Conoscere, anche a grandi linee, le opportunità della legge è un buon punto di partenza (qui il portale dedicato del Ministero delle Imprese e del Made in Italy). Perché se idea, gruppo di lavoro, specializzazione e capitale sono paragrafi fondamentali, la cornice normativa è il fulcro attorno al quale ruota la possibilità di attrarre investimenti.
Saper riconoscere i requisiti necessari è, per esempio, un pilastro del fare startup innovative, così come è fondamentale scegliere la migliore forma sociale, optando ad esempio per una SRL e non una SRLS, che potrebbe creare problemi nel futuro della società.
Le forme di finanziamento per ciascuna fase della startup
Attenzione a non abbandonarsi ai facili entusiasmi: per il bene della nuova società è utile far affidamento sulle regole, così che le quote siano distribuite secondo una efficace ripartizione che possa “premiare” chi ha avuto l’idea, chi è determinante per lo sviluppo e chi vi dedica più tempo e, quindi, rischia di più degli altri soci.
È utile seguire i consigli di chi ci è già passato o dei professionisti che, lavorando correttamente, fanno il bene degli imprenditori, suggerendo le decisioni più solide e scelte proficue da adottare, anche perché all’inizio oltre all’idea, al tempo e alla passione, si impegnano i propri capitali, come è giusto che sia.
Soltanto in un secondo momento si passa alla ricerca di altre forme di finanziamento.
In Italia, si utilizza ancora poco il SAFE (Simple Agreement for Future Equity), un acronimo che dovrebbe entrare a forza nella mente e negli obiettivi di ogni startup in fase Seed o Pre-Seed. Ovvero un investimento cui non consegue subito l’assegnazione di quote o azioni, bensì in un secondo momento.
Un’opportunità che apre alla raccolta di fondi in modo semplice per finanziare il percorso di crescita. Diverso il discorso nelle fasi più mature della startup, quando ci si deve interfacciare con Business Angel e Venture Capital.
Se, invece, si fa ricorso alla finanza, il consiglio principe è di concentrarsi su quella agevolata, creata ad hoc per le nuove società innovative. Prima di iniziare a lavorare e a incontrare gli investitori sarebbe meglio fare una full immersion nelle diverse tipologie di accordi, per non rischiare di compromettere nulla e, purtroppo, di scoprirlo solo a cose fatte.
E se alla fine di tutto, il mercato non premia l’idea alle spalle di un servizio o di un prodotto, non è la fine del mondo si deve guardare al fallimento come un momento di recap per poi ripartire. Per le startup il fail fast è uno strumento specifico che semplifica la chiusura di un business senza troppi gravami, per poter far tesoro dei propri errori e tornare il prima possibile a concentrarsi su un’altra attività.