LA STORIA

Fatturare dal primo giorno: i vantaggi della startup che nasce dalla ricerca universitaria raccontati da MegaRide

Vincitrice dell’Italian Master Startup Award 2020, MegaRide è una spin-off dell’Università Federico II di Napoli e sviluppa algoritimi per l’ottimizzazione dei pneumatici. “I clienti sono arrivati subito”, racconta il CEO Flavio Farroni. “L’università dà competenze, relazioni e affidabilità”. Tra i clienti: Ferrari, Ducati

Pubblicato il 15 Ott 2020

MegaRide

“Abbiamo cominciato a fatturare dal primo giorno”, dice Flavio Farroni, founder e CEO di MegaRide, la società vincitrice dell’edizione 2020 dell’Italian Master Startup Award. Come è stato possibile? “Siamo uno spin-off universitario”. Quindi l’impresa nasce con una credibilità, una rete di relazioni e un know how che poche startup possono permettersi.

Megaride è una startup che sta lavorando per portare l’intelligenza artificiale dalle piste alle strade, collocandosi in quell’area di incrocio fra industria dell’auto e smart mobility. Che cosa fa? Algoritmi per il controllo dei pneumatici, che vengono sviluppati per il mondo delle competizioni automobilistiche durante il dottorato di Farroni, ingegnere meccanico specializzato in dinamica dei veicoli, Le ruote sono il punto in cui si scarica a terra la potenza dei motori, tenerle sotto controllo, valutarne le reazioni in tempo reale permette di ottimizzare le prestazioni. Le soluzioni nate a Napoli vengono testate e apprezzate da Ferrari, cominciano a essere usate da Ducati nel motociclismo, piacciono anche a Maserati.

Ci sono le condizioni per la nascita, nel giugno 2016, di una nuova impresa con tre soci che sono tutti docenti di meccanica all’università. Un esempio di spin-off da manuale: la ricerca accademica trova un mercato, e velocemente, mentre la ricerca continua e la startup comincia un percorso di incubazione nell’acceleratore New Steel convenzionato con la Federico II.

“Cominciamo fatturare dal giorno 1, perché avevamo già i clienti che bussavano alla porta”, ricorda con soddisfazione Farroni, che elenca i vantaggi di essere uno spin-off accademico: “Partire con un background di conoscenze consolidato, avere un mercato pronto, conoscere bene i partner, godere della reputazione dell’ateneo e del suo accreditamento”. E avere subito clienti importanti come quelli di Megaride porta a un altro vantaggio non irrilevante: “L’investimento iniziale sulla nostra startup è stato irrisorio”.

Flavio Farroni, a destra, alla premiazione Tire Technology International, competizione vinta da MegaRide nel 2018

Megaride ha già fatturato il suo primo milione nel 2019, entro i tre anni dalla fondazione. E punta al raddoppio nel 2020. Ha fatto assunzioni anche durante il lockdown e adesso impiega 15 persone, a cui vanno aggiunte le 5 del team di ricerca. Gran parte del business è fatto con il mondo dei veicoli premium e delle gare di velocità. Ma è solo l’inizio. “Abbiamo tre direttrici di business e tre target diversi”, spiega Farroni. ”Aziende che producono auto e pneumatici, perché i nostri brevetti permettono di adattare le ruote ai veicoli risparmiando tempo e soldi. Poi ci sono i simulatori di guida, perché siamo in grado di simulare nel dettaglio le reazioni dei pneumatici nelle diverse situazioni esterne. E infine corse e motorsport. Lavoriamo da sempre nel racing, aiutiamo i team a individuare la migliore aerodinamica del veicolo per far lavorare al meglio il pneumatico”.

Che cosa c’entra tutto questo con la mobilità e i veicoli che usiamo tutti i giorni su strada? “Presto la potenza di calcolo delle centraline a bordo dei veicoli di serie avranno una potenza, impensabile 10 anni fa, che ci permetterà di far girare i nostri software e quindi di nei prossimi anni andremo verso la produzione automobilistica di serie. La ricerca che continuiamo a fare con l’università va in questa direzione”. Portare a bordo delle auto di serie gli algoritmi di Megaride significa aggiungere un pezzo importante nell’efficacia della guida assistita, controllando in tempo reale l’aderenza delle ruote sull’asfalto e quindi garantendo una maggiore sicurezza. Ma non solo. Algoritmi più potenti permetteranno interpretazioni evolute dei dati della scatola nera. Conclude Farroni: “Il nostro attuale effort va in questa direzione, sia sul fronte della ricerca sia su quello del business: l’harware di bordo deve fare la differenza”.

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Giovanni Iozzia
Giovanni Iozzia

Ho studiato sociologia ma da sempre faccio il giornalista e seguo la tecnologia . Sono stato direttore di Capital, vicedirettore di Chi e condirettore di PanoramaEconomy.

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